Il fattore K e gli utili idioti (Fine)

Berlusconi per svariati anni tramutò in oro tutto ciò che toccava, come re Mida. E scansava guai giudiziari.

Uomo assai generoso, non pensava unicamente a sé ma anche a chi gli orbitava intorno, consociati e associati, puttane e puttanieri.

Si sa che, vicino al Sole, ci si scalda un po’ tutti.

Il prodigo ex Cavaliere recapitò particolari pacchi-dono pure a chi stava lontano da lui, ai suoi oppositori nel Paese: il regalo agli elettori che non lo gradivano fu che influenzò e sfiancò, con la sua discesa in politica e l’ attività di governo,  la Sinistra.Se la Sinistra nella Seconda Repubblica da tempo non è più di sinistra, almeno rispetto alle classiche categorie di qualche decennio fa, è stato anche un merito di Berlusconi.

Non espressioni di nuove idee post-comuniste, i DS e il PD nacquero per arginare il torrenziale ex Cavaliere. Questi partiti sono stati degli accordi elettorali che hanno rincorso Berlusconi senza una propria strategia, un’identità, una linea politica coerente e convincente.

Tutti abbiamo visto questa mutazione, seduti a casa sulle nostre poltrone, guardando gli infernali talk-show colonizzati da politici vociferanti. La politica in televisione, con Berlusconi, si è indubbiamente ravvivata…ma a quale prezzo!

Con faccia di tolla, i peones del Centro-Destra effettuavano incredibili ribaltoni ideologici in diretta. Gli storici valori venivano travisati: quel che una volta apparteneva alla Sinistra diventava di Destra e viceversa. I veri progressisti, coloro che desideravano veramente il cambiamento e il benessere del popolo, stavano con l’ex Cavaliere. Un colpo di scena. La Sinistra significava sostenere le purghe staliniste e i gulag. I Comunisti erano dei reazionari che si opponevano ad ogni forma di cambiamento.

Insomma, uno zibaldone politico e culturale.

Cultura? Ma mi facci il piacere!

A proposito di popolo. Questa è una bellissima parola che odio nell’uso televisivo. C’è un popolo per ogni occasione, stagione e gusto, il popolo dei vacanzieri, il popolo di sinistra, il popolo di destra, il popolo delle partite IVA, il popolo di qua, il popolo di là…

Ed odio i politici, specialmente quelli di destra, allorché attribuiscono al popolo pensieri, orientamenti, paure e sentimenti collettivi secondo il proprio tornaconto.

Durante la Seconda Repubblica, i talk-show, i telegiornali, diventati palcoscenici per esibire i problemi giudiziari e le innumerevoli marachelle, pubbliche e private, di Silvio Berlusconi, ci hanno dato dei tormenti senza fine. Le questioni personali intrecciate indissolubilmente a quelle pubbliche riguardarono l’intero paese e lo bloccarono dinnanzi ai teleschermi.

I minus habentes del Centro-Destra, per giustificare le azioni del Capo, il padrone del partito-azienda, hanno strologato un campionario infinito di incredibili sofismi, fesserie e minchionerie senza pudore. Raffiche di stupidaggini ci lasciavano a bocca aperta e offendevano la nostra intelligenza. Nonostante questo, tanta gente rimaneva impigliata nelle reti del Centro-Destra. Credeva o voleva credere a questo branco di utili idioti. Ogni cosa veniva trasformata nel suo contrario secondo la tecnica consumata del ribaltamento della frittata, inducendo i politici di Centro-Sinistra a discutere all’infinito, dinanzi alle telecamere, su questioni che, se non avessero avuto il potente Capo del Governo come protagonista, si sarebbero potute liquidare in pochi istanti utilizzando un poco di buonsenso e di etica. Battibecchi, bizantinismi urlati tra i peones del Popolo della Libertà – l’ennesimo riciclo berlusconiano – e gli uomini del Centro-Sinistra inondavano, così, i talk-show politici fino alla nausea.

E qualche meschino, alzando gli occhi al cielo, avrà trovato conforto nella religione:

«Signore, perché ci hai abbandonato?»

E qualcun altro, guardando il cielo:

«Per tua infinita bontà ce l’hai mandato su questa Terra, ma ora…riprenditelo!»

Ogni battuta, ogni legge, ogni erezione, ogni processo, ogni gesto, ogni puttana, ogni scandalo dell’ex Cavaliere, tutto veniva commentato facendo la fortuna di conduttori televisivi e, soprattutto, quella di comici efficaci ed acuti come Corrado Guzzanti e Maurizio Crozza, più liberi di tanti commentatori politici.

Essere l’onnipresente protagonista di monologhi satirici, secondo Aristotele, non sarebbe dovuto essere un motivo di gran vanto per Berlusconi: «la commedia è…imitazione di persone che valgono meno». Ed ancora, «il ridicolo è…un errore e una bruttezza indolore e che non reca danno, proprio come la maschera comica è qualcosa di brutto e di stravolto senza sofferenza».

Questa saggezza antica mi piace.

Ipse dixit.

I comici incominciarono a menare schiaffi anche sulla facce della permalosetta Sinistra, sempre poco incline a essere scrutata dalla lente irriverente della satira. Gli ex-compagni non sono mai stati fonte di grande ispirazione per qualche risata essendo persone costituzionalmente pedanti. Abbiamo visto un po’ di satira su d’Alema, Bertinotti e Prodi. Persone poco estrose rispetto a quel ganassa di Berlusconi. Far sorridere con Letta, la Finocchiaro, Speranza sarebbe un’azione da supereroe.

Durante le elezioni del 2013, invece, qualcosa si mosse: nacque uno strano connubio tra la Sinistra e la satira politica.

Si tennero le elezioni primarie del PD. Il segretario Pierluigi Bersani venne designato come candidato che avrebbe dovuto contrastare Berlusconi. Viste le macerie lasciate dal Centro-Destra non affatto sgombrate dal Governo di Mario Monti voluto dal Presidente Napolitano, era necessario che Bersani vincesse le elezioni.

Pareva un compitino facile facile dal momento che quest’uomo mandato dal cielo trasudava noiosa onestà emiliana da tutti i pori.

Costantemente accigliato, Bersani aveva toni burberi come l’Onorevole Peppone ed esprimeva la sua strategia politica con brevi e curiose metafore, quasi proverbi, dal sentore di stallatico, discendenti di un’antica saggezza contadina. Roba da calendario di Frate Indovino.

Io temevo sempre di non capire queste metafore fino in fondo. Poi capii che, per capirle, non occorreva capire niente:  la politica spiegata al popolino si fondava sul nulla.

Queste metafore da Bar Sport della Bassa, va da sé, non passarono inosservate. Ben presto diventarono pane caldo e croccante sotto i denti di un ottimo comico genovese, Maurizio Crozza, che diede vita ad una efficace imitazione del delfino del Centro-Sinistra, ridicolizzandone la retorica strapaesana.

La politica raramente mi stupisce, ma in questa occasione ci riuscì: in totale assenza di idee efficaci, anzi in mancanza di ogni idea, il futuro presidente del consiglio della nazione italiana iniziò ad imitare l’imitazione di un comico che lo imitava. Un’antinomia!

E fu così che Bersani si ispirò ai siparietti comici di Crozza:

«Ancora sette giorni e lo smacchiamo noi il giaguaro».

Noi elettori di centrosinistra fummo presi da vampate di entusiasmo e in coro gridammo «avanti, o popolo, alla riscossa»!

«Questo sì che è il nostro uomo del destino! Questa sì che è una vera gioiosa macchina da guerra!»

Pareva di ascoltare la Signora Coriandoli. Roba da matti.

Meno male che Crozza diede questo spunto perché la propaganda elettorale di Bersani, per dirla con un neologismo, fu veramente apallica e, contemporaneamente, piena di supponenza. Perché impegnarsi quando nel karma del Centro-Sinistra stava scritto che il Giaguaro sarebbe diventato più bianco del bianco?

«Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole» e più non domandatemi, sembrava voler dire l’onesto Bersani, indicando il cielo con l’indice.

Per le elezioni del 2013, un altro comico aveva in pentola progetti assai ambiziosi.

Quella del comico è una vita assai più faticosa rispetto a quella di un attore serio. L’arte del suscitare il riso è benedetta, ma difficile. Una franca risata, con il suo benessere, costituisce una chiave preziosa per arrivare al cuore delle persone più efficace del pianto. Chi suscita il riso ha, quindi, un grande potere  e riesce a veicolare importanti contenuti. Il comico può influenzare quanto uno psicologo.

Beppe Grillo, comico genovese non tanto bravo quanto abile – carpiva lo stile irresistibile e l’ efficace mimica di un grande attore suo concittadino, Gilberto Govi – costruì un impero e un partito sulla caracollante politica italiana.

Ebbe vita facile. Con i nostri politici si sarebbe arricchito perfino un attore del cinema muto.

Fin da quando apparve in trasmissioni di grande popolarità, agli inizi degli anni ’80, l’ho sempre guardato con diffidenza perché non riuscivo a capirne la matrice ideologica.

«Beppe Grillo – mi chiedevo – è di sinistra o di destra? Da che parte sta?»

Il sincretismo ideologico non mi piace, nemmeno da un comico.

Dai potenti è stata sempre lasciata ai giullari una certa libertà di parola, Castigat ridendo mores.

Una volta, però, Beppe Grillo pronunciò pesanti illazioni sui socialisti che si dimostrarono veritiere qualche anno dopo. Bettino Craxi non le gradì. Il comico fu scacciato dalla Rai e seguirono anni di damnatio memoriae. Da proscritto prese a girare per teatri. La gente, scontenta per tutto quel che accadeva nel Paese, accorreva a frotte ai suoi ambigui monologhi e dava credito alle parole del comico facendosi suggestionare politicamente. Il pubblico andava in visibilio allorché sentiva criticare ferocemente tutto e tutti. Talora rivelava in anteprima notizie che poi avrebbero avuto rilevanza giudiziaria e risonanza nazionale, come il caso Parmalat. Chi fornì a Grillò quelle notizie riservate? I misteri gloriosi di Grillo.

Ai miei tempi si diceva che tutto è politica, parafrasi delle parole, «l’uomo è un animale politico». Ancora Aristotele! Con i suoi spettacoli, pareva evidente che Grillo facesse politica attiva.

Giunti i tempi di Internet, il comico genovese progettò un blog che amplificava la critica allo status quo e fidelizzava gli scontenti intorno a sé. Spacciava quello spazio informatico come l’unico luogo della verità. La Casa della Verità.

Internet, il nuovo Eldorado della libertà di pensiero.

Internet, un altro facile mito da osservare con occhio critico.

Un ragguardevole bacino di persone, composto sia dal pubblico fedele dei teatri che dagli utenti del blog, orbitava intorno a Grillo. Era un uomo contro il sistema ma  che poteva piacere a tutti, dall’estrema sinistra fino all’estrema destra.

Grillo, comico e politico, sfruttava forme apparentemente nuove di comunicazione e di dialogo con la gente ma, di fatto, seguiva il solco tracciato da Berlusconi. Utilizzava solamente una nuova tecnologia.

L’8 settembre 2007 io e la Bruna eravamo in Piazza Maggiore per assistere al V-Day. Ci dicemmo:

«Dai, qualche risata alle spalle di Berlusconi e d’Alema ce la faremo». Lo considerammo uno spettacolo gratis et amore Dei. A Bologna si dice anche «a gratis».

Quell’assolato sabato di protesta ci permise, invece, di toccare con mano quanto avesse attecchito il nuovo movimento-partito in una città tradizionalmente di sinistra, apparentemente refrattaria a personaggi di questo tipo, seppur, da tempo, in crisi politica. A quella di Bologna, si unirono le piazze di tante altre città.

Molta gente ovunque.

Ritornando a casa, io e la Bruna capimmo che mai Grillo si sarebbe beccato il nostro voto. La Bruna però, politicamente assai più lungimirante di me, come già dimostrò ai tempi di Berlusconi, previde che il comico genovese avrebbe fatto vedere i sorci verdi a tutti. La Bruna è meglio di tutti i sondaggi ed exit poll.

Quel grande raduno divenne una conta per un nuovo partito.

Il nuovo partito si poteva fare e si fece. Arrivò il Movimento Cinque Stelle, fondato dal comico genovese e da un certo carneade milanese, l’imprenditore Gianroberto Casaleggio. Carneade! Chi era costui?

Il Movimento Cinque Stelle si dimostrò essere l’ennesimo specchio per le allodole.

E’il partito dallo smartphone in mano, il movimento del click su «mi piace» e «non mi piace», delle idee che non devono occupare più di centosessanta caratteri. Anzi meglio esprimere le idee con gli emoticon, si fa prima.

A parole, le decisioni politiche vengono prese dagli iscritti al blog con consultazioni on-line. Sarebbe questa una nuova forma di democrazia proveniente dal basso, ma i risultati possono essere rivoltati dai padroni del Movimento se non paiono conformi ai criteri che lo regolano.

Chi controlla queste consultazioni? Chi attesta che esse siano esenti da pressioni, che i risultati rispettino la libera coscienza dei votanti?

Esiste un garante? Certamente.

E’ Beppe Grillo!

Meglio i foglietti strappati da un notes, segnati con un lapis e buttati in una cesta di vimini. I risultati sono più certi e democratici, sentite a me!

Un ex socio del carneade Casaleggio ha detto che:

«La parte ideologicamente più preparata mi sembra che sia quella di Casaleggio, Grillo è un megafono che ripropone delle elaborazioni che non necessariamente gli appartengono». Affermazioni che suscitano perplessità.

Il Movimento Cinque Stelle iniziò la sua corsa con le elezioni amministrative, erodendo voti sia a destra che a sinistra. I grillini ebbero propri sindaci, assessori, consiglieri nei Comuni ed anche rappresentanti nei consigli regionali.

Nel 2013, alle elezioni politiche, il nuovo partito fece il botto: in numeri assoluti di schede votate, quello di Grillo era il secondo partito italiano! Emorragie di voti di elettori scontenti, di italiani privi di bussola, di quelli che ormai dicevano «tanto peggio, tanto meglio», si trasfusero dai partiti politici conosciuti ai Cinque Stelle.

La coalizione di Centro-Sinistra superò quella di Centro-Destra per appena centoventiseimila voti. I magheggi del Porcellum di Roberto Calderoli elargirono un consistente premio di maggioranza al Centro-Sinistra. Dono della Provvidenza immeritato. I regali vanno a chi se li merita e non a questo imbelle Centro-Sinistra.

Al Senato il Porcellum produsse un risultato contraddittorio rispetto a quello della Camera: la distribuzione dei seggi non permetteva di avere alcuna maggioranza. Non c’era alcun vincitore. Una torta divisa in tre fette.

Bersani, lo Smacchiatore del Giaguaro, ebbe il coraggio di dichiarare:

«Siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto».

Non ennesima metafora, ma brutto eufemismo di una deludente realtà.

Cos’hanno fatto di male gli elettori del Centro-Sinistra per meritarsi queste teste di…politici?

Nel giro di poche settimane fu proprio lo Smacchiatore del Giaguaro ad essere candeggiato sia da Berlusconi che da Grillo. Bersani non riuscì nemmeno a fare eleggere Romano Prodi come Presidente della Repubblica.

Dopo aver perso tutto quel che si poteva perdere ovvero, in slang bersaniano, dopo non aver vinto tutto ciò che si era potuto non vincere, il segretario del PD finalmente si dimise. In conformità con l’ inflessibile Fattore K, essendo Bersani un ex-comunista.

Ed Enrico Letta, ex-democristiano, fu il nuovo Presidente del Consiglio.

(Fine)

Il fattore K e la parabola delle mutande (Parte ottava)

Il terzo millennio iniziò male e proseguì peggio.

I Democratici di Sinistra, ovvero il PdS brillantemente riciclato da quella gran testa della politica di Massimo d’Alema, furono ridimensionati dai favori degli elettori, dimostrandosi di essere un partito in grado di perdere anche se avessero avuto in mano asso, tre e re.

Il Paese probabilmente, seguendo una strana cupio dissolvi, doveva essere governato dall’ex Cavaliere e dal suo amico ritrovato, il Senatúr.

E la Sinistra assisteva impotente. Con le proprie politiche e le strategie auto-lesionistiche, con le scelte degli uomini sbagliati, la Sinistra si mise di buzzo buono per rendere più facile la conquista del Governo alla Casa delle Libertà e della Lega Nord. I DS e Rifondazione Comunista ebbero la grave responsabilità di aver spalancato le porte e consegnato le chiavi dello Stato Italiano a questi parvenu di Centro-Destra, anzi Destra-Centro. Per tutto questo tempo la Sinistra non è pressoché esistita, se si esclude l’intermezzo del governo Prodi II.

Fatto fuori l’ultimo tovarish italiano Romano Prodi, il sugo di pomodoro dal vivido colore rosso che condiva la pastasciutta nelle gamelle della classe operaia fu sostituita da una salsetta via via più sbiadita e delicata – il Partito Democratico di Walter Veltroni – che non urtasse i palati dei nuovi elettori di sinistra non-comunisti, più avvezzi agli hamburger di McDonald’s. Anche i dirigenti del PD strabuzzavano gli occhi  di fronte al sostantivo «comunismo», il segretario per primo, mai stato comunista. Meglio il cinema americano.

Il filosofo materialismo storico, otto lettere in verticale. Boh? Sistemiamo qualche lettera con le definizioni orizzontali

America e solo America.

Del Fattore K ne parlava pateticamente solo il capo della Casa delle Libertà, minestrina riscaldata del Polo per le Libertà.

L’ex Cavaliere fu il trionfatore delle nuove elezioni politiche.

Il Governo Berlusconi II si insediò l’11 giugno 2001. Per dieci anni si rappresentò una commedia, quasi una farsa, intitolata la «Seconda Repubblica»,  due atti che ebbero Silvio Berlusconi come indiscusso mattatore. Impotente, inefficace, esclusa da ogni intreccio, l’opposizione non appariva nemmeno come comparsa, stava seduta in platea a guardare sgranocchiando spagnolette.

Incominciarono dieci anni di Passione per molti italiani, dieci anni di propaganda elettorale senza tregua. La Casa delle Libertà, la Lega Nord e gli altri satelliti della Destra, infatti, conquistato il Governo, non smorzarono i toni praticati durante la propaganda pre-elettorale. Berlusconi e i suoi peones governavano e contemporaneamente avevano atteggiamenti ed espressioni rissosi, arroganti, più consoni ad un’opposizione estremista, che non a quella di moderati liberali come si qualificavano.

Il luogo eletto per la politica diventò la televisione. Estenuanti e inconcludenti talk-show presero ad ospitare senatori e deputati a qualsiasi ora del giorno, politici non sempre telegenici la cui attività di elezione diventò quella di apparire in televisione per fare propaganda di basso rango e urlata, anziché partecipare ai lavori del Parlamento.

Il livello della discussione si abbassò drasticamente e gli uomini della Sinistra tennero loro bordone.

Quanto parevano lontani i tempi della televisione bernabeiana con la sonnolenta Tribuna Politica di Jader Jacobelli, dove tutti ragionavano con pacatezza, signorilità e bel linguaggio! Perfino un repubblichino come Giorgio Almirante in televisione diventava un mieloso gentiluomo.

Mi veniva una stizza infinita quando quotidianamente i telegiornali raccontavano degli incontri politici ufficiali che si tenevano in casa di Berlusconi, a Palazzo Grazioli. Palazzo Chigi N.2, una casa privata diventata sede del Governo della Repubblica. Pendeva pure il tricolore dal balcone sull’entrata principale. Per quanto mi riguarda, la stizza non derivava da invidia sociale, sempre sbandierata dai ricchi, per il patrimonio di Berlusconi. Penso semplicemente che le case private non possano ospitare il governo di un paese democratico.

Le stesse cose ritornano. Così Robert Musil intitolò la seconda parte de L’uomo senza qualità. Nel 2005, si ebbe il gran ritorno di Romano Prodi: sembrò nuovamente l’uomo giusto per sconfiggere il piazzista di Arcore. Il Mortadella, però, pretese che il suo nome fosse suffragato dal consenso popolare. Stravinse le primarie del Centro-Sinistra a dispetto dei santi e dei burattinai che muovevano i fili del suo partito, i Democratici di Sinistra. Vinse Romano Prodi, ma la nuova legge elettorale, il Porcellum di Calderoli, riservò al governo di Centro-Sinistra una risicatissima maggioranza al Senato e un’ampia maggioranza alla Camera. Intermezzo sempre faticoso e con il fiato sospeso, il Prodi II durò quasi due anni anche con l’ausilio di un manipolo di vecchietti quasi centenari, i senatori a vita.

Chi ha tanto denaro cosa fa? Compera di tutto, ville, libri antichi, reperti archeologici, gioielli, qualche Monet, l’ennesimo Van Gogh, le anime umane e…i senatori della Repubblica. Così fece l’ex Cavaliere, con qualche milione di euro comperò un senatore con il piacevole risultato riflesso di congedare un governo.

E il Prodi II finì tra libagioni con champagne e una mangiata con le dita di fette di mortadella.

L’epilogo del decennio berlusconiano, invece, avvenne durante la storica serata di sabato 12 novembre 2011. Il Berlusconi IV ebbe ufficialmente almeno due convitati di pietra, il Re-Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e lo spread a 553.

Ora una parabola per raccontare il berlusconismo.

Il protagonista della piccola, sciocca, parabola sono io, Aposello, nelle vesti di berlusconista ante litteram.

Un minuscolo lacerto della mia giovinezza.

Ogni forma di limitazione o divieto scatena un desiderio di trasgredire. Si sa.

La verdura involata dall’orto accanto sembra più buona di quella acquistata al supermercato, gli amori furtivi consumati con la moglie carpita all’amico sono più coinvolgenti ed eccitanti  di quelli consumati con la propria. Esistono trasgressioni per ogni categoria umana, c’è almeno un peccato che fa soccombere ogni uomo, anche il più retto.

Anche un collezionista di musica lirica? Sì.

Il collezionista si accontenta di poco, si appaga con un peccatino. Poiché, in teatro, allo spettatore è permesso solamente di ascoltare e guardare, la massima trasgressione, fonte di piacere, consiste nel recarsi in teatro con microfono e registratore per carpire compulsivamente i suoni di questo o quello spettacolo.

L’episodio che narrerò risale al mese di agosto del 1982, un’epoca in cui l’abile ex Cavaliere si accontentava di turbare gli italiani trafficando con mattoni, televisioni e carta stampata.

Mi recai con amici a Pesaro, al Rossini Opera Festival, per assistere alla ripresa di una bella Italiana in Algeri. Avevamo visto la stessa opera con gli stessi cantanti l’anno prima ed era talmente piaciuta a noi tutti che accorremmo con l’acquolina in bocca. Portai con me un bel registratore a cassette e un grande microfono argentato.

Trovammo posto in un palco. Qui i palchi sembrano dei salottini, le pareti sono dei séparé che non arrivano in cima al soffitto, così gli spettatori possono vedere attraverso il palchetto vicino.

Al Teatro Rossini, le maschere erano zelanti quanto le spie della Stasi. Entravano nei palchi scrutando in cerca di minuscole luci, allungando il collo con pose da equilibristi per meglio vedere.

Si abbassarono le luci, entrò il direttore d’orchestra e iniziò la sinfonia. Finalmente la maschera si ritirò e la registrazione poté iniziare.

Andò tutto per bene fino alla scena del Pappataci quando, improvvisamente, mi trovai davanti degli occhi che mi guardavano. Il gatto del Cheshire che mi guardava? No. La maschera della Stasi stava davanti a me, fissandomi immobile e muto.

Non mi scomposi, continuai a tenere il microfono in mano e il registratore sulle ginocchia come se lui non fosse lì. Rimase davanti a me non so per quanto tempo e poi si dileguò dal palco accanto. Ero libero e salvo?

In fretta e furia spensi il registratore prima che l’opera finisse, misi gli apparecchi nella borsa e i nastri registrati me li infilai nelle mutande. Proprio «lì».

Mi dissi:

«Qua  non verranno mica a cercare le cassette»

Terminò l’opera, applaudii la bellissima esecuzione, con gesti enfatizzati e ipocriti per darmi coraggio.

Gli amici che erano con me non si erano accorti dell’apparizione, li ragguagliai, allorché comparve la maschera, puntualmente come un raffreddore in inverno.

«Sa che non si può registrare in teatro? Mi deve consegnare i nastri»

«Guardi che io non ho nessuna registrazione», feci io risentito.

«Come no? Ho visto con i miei occhi che lei aveva il microfono e il registratore in mano. Su mi dai i nastri»

«E’ vero, avevo il microfono e il registratore in mano ma, le assicuro, che non stavo registrando»

«Come no? Mi prende per fesso?»

«No, in maniera assoluta. Anzi, facciamo così: questa è la borsa, può guardare liberamente. Se trova dei nastri, può prenderli!», risposi con sicumera, guardandolo bene in faccia.

Eravamo alla fine della partita.

«Aaaaah questa poi!»

Il tipo la prese persa e se ne andò.

Alla fine di questo sciocco racconto dirò poco. Mi limiterò a suggerire un’interpretazione.

Questo episodio di vita copre metaforicamente un po’ tutti i protagonisti di un abbondante decennio di politica, c’è Berlusconi, ci sono i berlusconisti, c’è la gente che gli ha dato aggio.

Berlusconi e il berlusconismo rispecchiano gli aspetti grigi degli italiani.

(Continua)

You cannot copy content of this page