Il fattore R(enzi), ovvero il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi

I giocatori d’azzardo amano il rischio. Vogliono vincere ma sanno che possono perdere tutto.

Ve ne sono altri, invece, che giocano non mettendo mai mano alla scarsella. Dicono di giocare per stare in compagnia. Questi giocatori non sono, in generale, un granché e vincono quando incontrano un avversario più scarso o distratto. Se giocano in coppia, si nascondono dietro alla bravura dell’altro.

La Sinistra di Occhetto, d’Alema, Veltroni e Bersani rappresenta questo secondo tipo di giocatore: non ha mai rischiato e, con le proprie forze, non ha mai vinto alcuna partita se non appoggiandosi a qualche partner più forte. A Romano Prodi, un cattolico.

Queste grandi teste di politici hanno dilapidato un grande patrimonio di ideali e di voti.

Bettino Craxi fu il primo politico della Sinistra italiana a commettere il peccato di superbia di scalare Palazzo Chigi.

Craxi era di Sinistra? La risposta è negativa se pensiamo alla Sinistra italiana a prevalenza comunista, sempre vicina ai sindacati, la Sinistra tenuta a bada dal Fattore K.

Con i criteri d oltralpe o d’oltreoceano, invece, Craxi sarebbe stato senz’altro considerato un uomo della Sinistra. Io non sono mai stato craxiano, ma devo riconoscere che il segretario fu uomo di una sinistra non comunista con singolari capacità politiche e personali.

Poi le vicende di Craxi e amici andarono come andarono. Segnarono tristemente un’epoca.

Ma questo è un altro discorso.

Luci e grandi ombre.

E’ un peccato di superbia, un’ambizione luciferina, partecipare alle elezioni con l’effettivo intento di vincerle? Concorrere per vincere, questo deve dire e fare un grande partito politico. Non è sufficiente partecipare alle elezioni con il dalemiano atteggiamento dell’eterno perdente. La spocchia del perdente.

Dopo Craxi, il primo uomo politico appartenente alla Sinistra che si è posto il problema di vincere le elezioni è stato Matteo Renzi.

In un paese normale il partito sfidante deve carpire gli elettori scontenti al governo uscente.

La situazione italiana era anomala: accadde che il centro-destra, durante l’era di Berlusconi, sottraesse voti alla Sinistra, ma non capitava viceversa.

La Sinistra, poi, si impegnò in una sorta di cannibalizzazione interna: la Sinistra più a sinistra pensò che fosse conveniente scippare i voti al PD. Questioni di pseudo-ortodossia, nostalgie per un socialismo reale mai vissuto? Magari!

La Sinistra, invece, si trovò tra i piedi un poeta-predicatore con la zeppola, politicamente inquieto, ex-FGCI, ex-PCI, ex-Rifondazionista.

Le improvvisazioni poetiche di Niki Vendola erano letterine a Babbo Natale, semplici e banali, che apparivano chissache per la ridondanza verbale. L’arte di dire «sì» con duecento parole.

Ecco un esempio della profondità di Vendola:

«Vi dico due parole importanti: “Sinistra” che significa la casa dei diritti, che significa accendere le luci sugli angoli del dolore sociale, che significa parlare degli invisibili, di tanta gente smarrita e perduta! E l’altra parola: “Libertà”! Dobbiamo liberare la libertà. Dobbiamo liberarla: ne han fatto un mercimonio, l’hanno sequestrata in un supermarket, l’hanno messa in una prigione: è la libertà dei potenti di fare ciò che credono e ciò che vogliono, di umiliare la giustizia, di umiliare un popolo! Non è questa la libertà! La libertà è un’altra!»

Nel 2013, chiesi ad una mia collega, un tempo elettrice PCI-PdS-DS-PD, per chi avrebbe votato alle politiche:

«Io voto per Niki Vendola», rispose lei con orgoglio

«Scusa. Perché?», feci io perplesso

«Parla così bene», con tono sognante, rapita dal Majakovskij della Murgia

«Ma capisci quello che dice?»

«No, ma che c’entra»

Essere di Sinistra diventò un lavoro debilitante, un atto di dolore:

«mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi» ed anche Niki Vendola. Amen.

Arrivò il 2012 e vidi l’uomo nuovo del PD all’opera, in carne e ossa, Matteo Renzi, durante il confronto con Bersani, Puppato, Vendola e Tabacci, trasmesso da Sky. L’occasione era quella delle Primarie per individuare lo sfidante di Berlusconi e Grillo alle politiche.

Non solo Renzi fu convincente e con idee chiare ma bucò il teleschermo. Una bomba. Che sforzo, si dirà, visto l’istrionismo degli altri!

Per contrastare Berlusconi e Grillo il Centro-Sinistra finalmente aveva l’uomo giusto, un giocatore abile. E apparteneva al mio partito!

Renzi intendeva vincere a qualunque costo per il bene di tutti. Per sconfiggere Berlusconi e Grillo bisogna giocare come loro: o tutti rispettano le regole oppure bisogna attrezzarsi e regolarsi di conseguenza. C’erano in lizza dei giocatori che avrebbero barato anche giocando a Klondike con il cellulare! Pur se Renzi avesse recitato, mentito o barato, non mi interessava nulla.

Passai una notte con un conflitto interiore:

«Renzi è di Sinistra –  Si quasi sempre – Forse sì  – E’abbastanza di Sinistra – Non è Comunista  – Certo che non è comunista – Non deve essere comunista se vuole andare al governo – Sennò chi lo vota – E chi se ne frega se non è comunista  – Nemmeno d’Alema è comunista –  Se d’ Alema è comunista lo sa solamente lui e pure ci crede – I comunisti non esistono più – Nemmeno la Sinistra esiste più – E da tanto tempo  non esiste più – La compagnia della vecchia sinistra non ha nulla da dire ai giovani – Sa solamente deludere i vecchi – Che diventano sempre di men o- Che votano seguendo le consuetudini  – Rottamare sì rottamare – Renzi parla di giovani di anziani di lavoro di scuola di giustizia di equità fiscale – Questa però è roba da sinistra – Non andrà d’accordo con i sindacati – Con la Camusso – Pazienza – Chi se ne frega I sindacati fanno la voce grossa quando non importa – Anche loro ballano i minuetti con i governi e non sono affidabili – Per vincere Berlusconi e Grillo occorre avere la faccia da culo e Renzi ce l’ha  – Un po’ spaccone – Ha voglia di mettersi in mostra ma questo farà bene a tutti – I discorsi di Renzi saranno anche frasi fatte  ma si capiscomo – Con i suoi slogan pensa di rivolgersi ancora ai boy scout – Dalle strisce dei fumetti alla politica – Meglio dei poemi di Vendola – I poemi di Vendola non li capisce nemmeno lui – Certe volte sono prediche – Bersani parla con proverbi di due righe – E poi è un ingastrito con il mondo insieme al Baffetto – E poi fa i duetti con la Ricciarelli – Ma va là – Berlusconi è il re dell’anacoluto – Dovrebbe fare la trasmissione dei pacchi – Grillo starnazza come un’oca e bisogna bipparlo ogni due minuti-  Ed è un fascista – Renzi sa come portare via i voti a Berlusconi – Non fanno mica schifo questi voti se vanno finire dalla parte giusta – Cioè al PD  – Basta dire che Renzi è un populista – Tutti gli altri lo sono – Piuttosto che vinca le elezioni contro Berlusconi e contro Grillo».

E alla fine dei pensieri conclusi:

«Ma sì alla fine Renzi è il meno peggio

Quindi per ora è il migliore

Voterò Renzi».

Ho considerato il voto a Renzi, fin da subito, un buon voto utile. Sapevo che, se Renzi fosse stato il prescelto per la partita di Palazzo Chigi, e se avesse vinto le elezioni politiche, certamente avrei subito delle delusioni. Chi va al governo si scontra con i problemi reali e, quindi, gli ideali – se ve ne sono stati – e le promesse – quelle ci sono sempre – vanno a farsi friggere.

Passata la buriana, finita l’emergenza democratica, cambiate persone e situazioni, avrei valutato i risultati con distacco, senza costrizioni. Finché dura fa verdura, prendere tempo. Quest’è la nuova etica dopo Berlusconi.

Il risultato delle primarie fu deludente per Renzi. Io pensavo, invece, che avrebbe stravinto.

Gli elettori del PD scelsero l’usato sicuro di Bersani. E il risultato delle politiche, come ben sappiamo, fu che il Centro-Sinistra e il Centro-Destra dovettero dividersi le pietanze sbocconcellate dal Movimento Cinque Stelle.

Il mandato esplorativo per costituire il nuovo governo fu affidato al delfino del PD e durò una settimana. Bersani, riuscì a farsi strapazzare ed umiliare da epifanie del Nulla come i due capigruppo del Movimento Cinque stelle, il perspicace Vito Crimi e la simpaticissima Roberta Lombardi. Questo psicodramma si tenne innanzi ad una squallida webcam sfocata, imposta dai grillini per testimoniare la loro trasparenza e il nuovo modo di fare la politica.

Poco dopo, lo Smacchiatore del Giaguaro dichiarò che il mandato esplorativo ebbe esiti «non risolutivi». Seguirono, infine, le dimissioni da segretario.

Dopo Bersani, Renzi riuscì a farsi intronizzare a Segretario del PD. Il sogno inesprimibile di ogni segretario è quello di avere un partito senza correnti e unito. Renzi non voleva vivere di sogni e neutralizzò, rottamò, i Vecchi Apparati, discendenti del Centralismo Democratico da PCI e della DC. Il Nuovo era rappresentato dai giovani fedeli al Segretario, il Vecchio erano d’Alema, Bindi, Bersani & C.

I Rottamandi ovviamente si coalizzarono contro il Rottamatore.

L’obiettivo di Renzi era quello di avere un Partitone forte, autosufficiente, in grado di governare senza l’ausilio e il ricatto dei cosiddetti partitini. Ci stupisce questo ragionamento? E’ un’eresia illegittima? Lo abbiamo detto e lo diciamo tutti che questo è un problema da risolvere.

Ma Renzi non si limitò a questo, guardava oltre.

Il governo Letta ricordava una bietta sotto un tavolo traballante. Pur essendo un ex-democristiano, ho sempre avuto una buona considerazione per Enrico Letta. Simpatico, un aplomb all’inglese. Come presidente di quel Governo era oggettivamente troppo molle, eccessivamente signore per quella cavea parlamentare e, soprattutto, il suo esecutivo era troppo procrastinatore.

Renzi dapprima confermò la fiducia a Letta:

«Enrico, stai sereno»

Dopo qualche settimana, Renzi fece una mossa spregiudicata che lasciò a bocca aperta tutti, inducendo Letta a dimettersi.

E così Renzi diventò Primo Ministro.

Si attribuisce impropriamente a Machiavelli la formula «il fine giustifica i mezzi». Un errore madornale: è di Matteo Renzi.

Trascurando ogni giudizio morale su questa vicenda senza scrupoli, ritengo che l’attivismo di Renzi sia più consono al ruolo di Capo del Governo che non a quello di Segretario di un partito.

Per qualità caratteriali, Renzi non è una persona che possa unificare le correnti ideologiche che percorrono la Sinistra italiana. Chi rottama non unifica, crea livori.

Non dimettersi da Segretario, diventato Capo del Governo, è stato un errore madornale. Aveva troppo potere tra le sue mani.

In qualità di primo ministro diverse cose mi sono piaciute, altre no. Alcune cose sono appartenute alla Sinistra, altre no. Volendo giudicare il Governo di Renzi, si devono, però, rammentare le varie circostanze che l’hanno preceduto e preparato, in particolare, che esso è nato come soluzione ai problemi creati dall’insuccesso elettorale di Pierluigi Bersani e che, per questo, il governo è stato sostenuto da una strana maggioranza. Si può avere un governo di Centro-Sinistra se nel mosaico c’è il partito di Angelino Alfano che reca il nome Nuovo Centrodestra? Suvvia!

Si sarebbe dovuto ricorrere alla volontà degli elettori, ma questa eventualità non è stata ritenuta praticabile perché si è temuta, e si teme, l’esplosione del Movimento Cinque Stelle e della Lega Nord di Matteo Salvini.

Trasformare il referendum costituzionale in consultazione per trovare consenso nel paese ed esibire il risultato al fine di zittire la potente minoranza all’interno del Partito Democratico, ha costituito il secondo errore madornale di Matteo Renzi. Dalle mie parti si direbbe che questo è «tirare nel pero per prendere nel melo», arte che accomuna i giocatori di biliardo e i grandi strateghi.

Alla fine, il machiavellico Renzi si è stranamente dimostrato solo un ingenuo e cattivo giocatore di flipper. Non riuscendo a ficcare la pallina nel foro, mostrò una strana propensione per la roulette russa: trasformò il referendum costituzionale in un referendum personale smarrendo il significato profondo dell’importante consultazione. Ed estenuando gli elettori.

Ai Rottamati, al Centro-Destra, al Movimento Cinque Stelle, ai Sindacati, a molte Associazioni, tutto questo non parve vero, e pure loro tirarono nel pero per colpire il melo: salvando l’integrità della Costituzione, avrebbero mandato a casa Renzi.

Durante le settimane pre-elettorali parve chiaro che Renzi era più pericoloso dei vecchi comunisti, che condizionava la Democrazia e la Libertà.

Renzi, personaggio pericoloso quanto il Cavalier Benito Mussolini. Il referendum come Ultimo Gran Consiglio. La resa dei conti.

Si delineò il nuovo spauracchio, il Fattore R. Il Fattore Renzi anziché il Fattore Kommunizm.

Molto meglio trattare con Berlusconi…quello almeno è un vecchio che si accontenta di qualche donna a pagamento, della prescrizione di qualche processo, di qualche leggina birbona e riga. Mica fa il padre della patria!

Nonostante il Fattore R, il risultato a favore del Presidente del Consiglio si attestò al quaranta per cento. Ma questa percentuale corrispondeva esattamente ai voti che il PD conquistò in occasione delle elezioni europee con l’apporto dei rottamati! E fu considerato, all’unanimità, un successone. Dovettero ammetterlo, con il mal di denti, pure d’Alema e Bersani.

Il quaranta per cento dei voti, secondo il segretario tutti voti a favore della sua politica e della persona, corrispondeva a un bel partito! Quello era il suo partito.

Renzi mantenne la parola e rassegnò le dimissioni dal Governo ma non mollò il PD: pensava di andare alle elezioni e fare incetta di voti dopo un veloce congresso del Partito.

Ma la minoranza nicchiò. Si sarebbe rischiato di vincere.

Iniziarono giorni di psicodrammi, questioni senza senso per la maggior parte delle persone: se Renzi avesse detto bianco gli altri avrebbero detto nero, se Renzi avesse detto nero allora sarebbe stato bianco.

Il Partito Democratico finalmente era allo sbando.

Un’agonia.

Nelle ultime settimane abbiamo assistito alla creazione di un nuovo movimento. Il Partito Democratico si è scisso.

Divide et impera.

Dal caos nasce il nuovo ordine.

Magari senza Renzi.

Così sperano i burattinai del Fattore R.

Il fattore K e l’uomo in ammollo (Parte sesta)

In qualsiasi Democrazia, perché una legge possa essere approvata, i Governi devono ottenere, il non sempre scontato bottino del cinquanta per cento più uno dei voti. Il sistema politico italiano, avendo due assemblee legislative con le stesse funzioni, la Camera dei deputati e il Senato, ogni legge, per essere approvata, ha da ottenere la maggioranza almeno per due volte.

Il Bel Paese, fino al 1993, si fondava su una Legge elettorale di tipo proporzionale cioè, in parole assai povere, una legge che a tanti voti attribuiti dagli elettori a ciascun partito corrispondevano percentualmente, in Parlamento, più o meno, tanti deputati o tanti senatori.

I partiti, per partorire un governo, di norma, devono aggregarsi ovvero, come si dice generalmente, si devono «coalizzare». Solo la Democrazia Cristiana, eterno primo partito di governo per quasi cinquant’anni, eternamente nel cuore degli italiani, valida ausiliatrice del Fattore K, prima degli anni Settanta, provò l’ebbrezza di costituire dei governi monocolore.

Quando questo spesso non fosse stato possibile, la DC si coalizzava con partiti e partitini a lei affini, a turno il Partito Repubblicano, il Partito Liberale, il Partito Socialdemocratico, Il Partito Socialista Italiano. Si alleò finanche con il Partito Monarchico Italiano e il Movimento Sociale Italiano, ricetto di nostalgici del Ventennio e di repubblichini.

Succedeva che, pur disponendo di asso, tre e re, i democristiani spesso perdessero la partita all’ultima mano per una briscoletta svestita mal giocata dagli alleati, magari buttata sul tavolo per mettere in difficoltà, condizionare, il partito di Sturzo e De Gasperi, o perché il grande partito si era incartato. I partitini riuscivano spesso a ottenere tanto con poco, a dispetto di ogni corrispondenza e proporzionalità con il loro reale peso elettorale.

Le scontate compresenze nel medesimo governo erano regolate, tanto per non scontentare nessuno, da complessi, rimuneratori, equilibri di potere e assegnazioni di poltrone. Questo approccio, fatto di opportunismo politico e di regole empiriche, ebbe il nome giornalistico di Manuale Cencelli , dal suo presunto ideatore, il politico democristiano Emanuele Cencelli.

Craxi sovvertì il gioco del Governo, dalla Briscola si passò a quello degli Scacchi: il PSI, terzo partito, alfiere della sinistra, mise sotto scacco il Re bianco, la DC, e diventò Capo del Governo. Craxi giocò meglio di Boris Spassky e Bobby Fischer messi insieme.

Dopo la bufera dei processi di Mani Pulite, con il referendum promosso, tanto per cambiare, dai Radicali, gli italiani si espressero nel 1993 ampiamente a favore di un Senato eletto secondo un sistema maggioritario. Il popolo italiano dimostrò, insomma, di gradire un sistema elettorale che, con un premio di maggioranza, assicurasse la stabilità del governo.

Il Mattarellum fu la Legge Elettorale che venne alla luce nel 1994 come risposta dei partiti a questa nuova richiesta degli italiani. Approvata da una strana maggioranza composta da DC, PSI, PSDI ed anche Lega Nord, con il contributo dell’astensione del PdS e del Partito Radicale, la nuova Legge prese nome dal suo relatore, un democristiano, l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

La legge non soddisfaceva completamente le recenti pulsioni maggioritarie perché mischiava il nuovo e il vecchio – secondo una complessa calibrazione – il maggioritario e il proporzionale. Era, comunque, qualcosa di nuovo e marcò l’inizio di una nuova epoca: la cosiddetta Seconda Repubblica seguì, infatti, dopo questa legge.

Il Mattarellum rimase in vigore fino al 2005 per tre legislature che espressero importanti governi, il Berlusconi I, il Dini, il Prodi I, i d’Alema I e II, l’Amato e i Berlusconi II e III, dopodiché, nel 2005, si passò al Porcellum di Calderoli, la legge porcata.

Giunsero le elezioni del 1994 e per la prima volta si videro gli effetti del Mattarellum i partiti si presentarono in duplice veste: ognuno correva per sé, relativamente alla quota proporzionale, e contemporaneamente si legavano tra di loro, raggruppati in liste, per la quota maggioritaria.

L’aggregazione del centro-destra fu veloce e naturale avendo in Silvio Berlusconi motore, cemento, combustibile e, last but not least, finanziatore. La nuova Sirena politica costruì un partito non partito, ovvero un movimento che poteva raccogliere chiunque. Forza Italia, infatti, partito-azienda deideologizzato, brandiva l’anticomunismo come clava propagandistica ed allettava i numerosi creduloni con fole del buon governo e la diligenza del buon padre di famiglia. Con il passar del tempo, Forza Italia si organizzò club. Club e non sezioni di partito.

Denominazione che pareva una gran figata.

Che avvenne a sinistra nel ’94? In verità, non ricordo molto della campagna elettorale del centro-sinistra. Solo che tutti davano il centro-sinistra come vincente ma l’incisività dell’azione di Occhetto e della formazione elettorale di sinistra, l’Alleanza dei progressisti, convinse talmente gli elettori che diedero il voto altrove. Anche alla Lega Nord. Un nuovo sgambetto del Fattore K?

La sconfitta elettorale ebbe l’effetto benefico di far dimettere il cordialmente simpatico, quanto politicamente, inefficace Occhetto. I grandi elettori del PdS dovettero scegliere il nuovo segretario tra due teste coronate della politica italiane, Massimo d’Alema e Walter Veltroni. Entrambi facevano a gara a scolorare con il detersivo quel po’ di rosso che rimaneva nel partito.

Per lavare, risciacquare e centrifugare il PdS, la scelta ricadde su d’Alema.

L’uomo che candeggiò il PdS e tolse le macchie di pomodoro dalle bandiere.

(Continua)

You cannot copy content of this page