Le Lasagne

Dalle mie parti, il nome di questa sontuosa minestra è difettivo del singolare. Solo e semplicemente Äl Laṡagn, le Lasagne. Ma tant’è: se a qualche pseudo bolognese distratto però sfuggisse di dire lasagna si dovrà benevolmente sperare che abbia almeno voluto intendere un singolo strato di sfoglia di cui sono appunto formate le Lasagne.

Nel Meridione la situazione è ben diversa. In Campania esiste infatti la lasagna di Carnevale, un timballo al forno ma secondo una ricetta affatto differente da quella bolognese.
La preparazione delle Lasagne richiede impegno e tempo. Occorre tanta sfoglia verde per colmare una teglia di metallo alta circa sei centimetri perché le Lasagne devono essere un piccolo castello in mezzo alle scodelle dei commensali.

Occorre tanto ragù alla bolognese, ça va sans dire, ed esso è il signore delle Lasagne che abita nell’interno del castello di pasta. La castellana è la besciamella, il parmigiano reggiano  e infine il burro sono paggio e servo del castello di pasta.

Conviene prendersela con calma iniziando la preparazione delle Lasagne alla sera con il ragù. La mattina successiva si farà la sfoglia, si grattugerà il parmigiano e, solo poco prima di unire i vari ingredienti, si cuocerà la besciamella per evitare che, raffreddandosi, diventi un mappazzone difficile da stendere.

Ed ora la ricetta del ragù, in bolognese la cónza o al ragó.

Sciogliete in un tegame, possibilmente di coccio, un etto di burro, a cui  aggiungerete un etto di pancetta macinata, insieme ad una carota, una cipolla e una costa di sedano tritate. Una volta appassiti, unirete, ben macinati, tre etti di polpa di maiale e altrettanto di muscolo di manzo. Le carni devono rosolare ben bene e poi sfumerete con un bicchiere di vino secco. Aggiungerete almeno tre etti di conserva di pomodoro – il ragù deve risultare ben rosso – sale e latte quanto basta. Dopo questo abbassate la fiamma, il ragù dovrà cuocere con un leggero sorriso, e magari mettete una piccola piastra di ghisa per distribuire uniformemente il calore. Coprite il tegame e fate cuocere fino a che il liquido superfluo non sarà consumato e rimarrà un composto quasi cremoso. Passeranno almeno tre ore, ma non preoccupatevi se ce ne vorranno anche il doppio o più. L’occhio, mischiando con un cucchiaio di legno, deciderà quando sarà pronto.

La lavorazione delle sfoglia, in dialetto la spójja, inizierà formando una fontana con cinquecento grammi di farina in mezzo al tagliere. Aggiungete trecentocinquanta grammi di spinaci – o in alternativa la parte verde delle bietole – lessati, ben strizzati e tagliati molto finemente con la lunetta. Infine si uniranno tre uova ed un cucchiaio di olio di oliva.

Mischiate per bene questi ingredienti con le mani ma non troppo, dopodiché l’impasto dovrà riposare per almeno una mezz’ora affinché acquisti elasticità. Trascorso questo tempo dovreste aver deciso se tirare, cioè assottigliare, la sfoglia a mano, con il matterello, oppure con la macchina. «Tirare la sfoglia» è un’arte d’altri tempi, incommensurabile quanto faticosa, che occupava un posto di primo piano nel corredo delle massaie emiliane. Il risultato di questo lavoro faticoso sono dei fogli ellittici di pasta gialla oppure verde cioè la spójja. Le virtuose del matterello sanno ottenere delle sfoglie senza buchi e, all’occorrenza, sottili quasi come pergamene traslucide. Queste sono la base per ottenere le principali minestre di una delle più celebri cucine regionali: quella bolognese.

Se sceglierete la strada più ripida, la sfoglia fatta a mano, da essa ritaglierete delle strisce rettangolari più o meno lunghe quindici centimetri e larghe dieci. Con la macchina c’è il vantaggio, a parte il risparmio di tempo e fatica, che si otterranno strisce della larghezza giusta; inoltre nessuno si accorgerà della lavorazione facilitata se la pasta sarà appiattita con soli tre o quattro giri di macchina. E’ importante che la sfoglia delle Lasagne non risulti comunque troppo sottile.

Dopo aver grattugiato il parmigiano, mentre si porterà all’ebollizione una pentola con abbondante acqua salata per la cottura della pasta, su di un altro fornello preparerete la besciamella, la balsamèla.

Questa ne è la ricetta.

Fate tostare in ottanta grammi di burro, altrettanta farina, quindi aggiungete un litro di latte bollente mescolando energicamente con un cucchiaio di legno per evitare che si formino dei grumi. Salate e fate cuocere per almeno otto minuti, sempre mischiando, affinché la besciamella perda il gusto della farina.

A questo punto si può passare alla composizione delle Lasagne. In questa fase il cuoco è bene che abbia un aiutante.

Cuocete due strisce per volta nell’acqua bollente, raccoglietele con una ramina, sgocciolatele, e deponetele su di un burazzo bianco per asciugarle. Versate sul fondo dello stampo rettangolare qualche cucchiaiata di ragù poi disponetevi sopra le strisce di pasta cotta. Versatevi sopra uniformemente altro ragù. Ed ora è la volta di distribuire, ma con misura, la besciamella e infine una pioggia non torrenziale di parmigiano reggiano, la fåurma. Nel dosare la besciamella e il parmigiano dovete seguire il buon senso, ricordando che i loro sapori non avranno da prevaricare quello del ragù, e che sia al momento del taglio della minestra sia quando la forchetta affonderà nella porzione non vi dovrà essere alcun rilascio di liquido né il formaggio dovrà filare: le Lasagne devono risultare compatte.

Con la spolverata di parmigiano avrete completato il primo strato.

Continuerete la Grande Opera con altrettanti strati seguendo l’ordine delle operazioni che ripetiamo: cuocere la pasta, asciugarla, disporla nella teglia, distribuire il ragù e poi la besciamella, per terminare con il parmigiano.

Terminerete le Lasagne con uno strato di sfoglia, su cui stenderete besciamella e ragù mescolati, una spolverata di parmigiano reggiano e fiocchetti di burro, al butîr.

È bene non colmare per intero lo stampo perché in forno le Lasagne aumenteranno di volume. Coprite con la carta da forno e cuocete a centottanta gradi per venti-trenta minuti. Infine, tolta la copertura, gratinatele fino a che si sarà formata una bella crosta croccante. Una volta cotte, fuori dal forno, prima di fare le porzioni le Lasagne devono riposare per una decina di minuti affinché i diversi strati si leghino per bene.

Si possono distinguere sapori maschili e sapori femminili? Se così fosse, il sapore delle Lasagne non rappresenterebbe né gli uni né gli altri, ma la fusione di entrambi, il vigore virile del ragù e del parmigiano unito alla femminile dolcezza della besciamella. Le Lasagne sono un perfetto ermafrodita che si accompagna al gusto di abbondanti bicchieri di Lambrusco.

La Torta degli Addobbi

L’arte di saper cucinare costituiva per le massaie bolognesi, in dialetto le arżdåure, una parte non trascurabile della dote. Questo significava che una brava arżdåura doveva saper preparare almeno i cardini della cucina bolognese: la sfoglia di pasta all’uovo con il matterello, il profumato ragù di carne – la cónza, come dicevano i vecchi – e il brodo. Seguivano a ruota le tagliatelle asciutte, i tagliolini e passatelli in brodo, le lasagne, i tortelloni e i tortellini, poi la carne al forno con patate e verdura cruda, il bollito misto con salsa verde e verdure al burro imbiancate di parmigiano filante.

Un posto minore dentro al baule della massaia emiliana veniva occupato dai dolci. Al termine di un pranzo festivo costituito da robuste vivande, sembravano quasi degli intrusi.

I classici dolci al termine di un pranzo bolognese erano quindi, preferibilmente, quelli al cucchiaio come il fior di latte, le pere e prugne all’alkermes, la zuppa inglese e le pesche al forno. Cose semplici, gustose, d’antico sapore.

Facevano parte della dote delle brave massaie altri dolci tradizionali. Delizie apparentemente semplici, più o meno rustiche, che entrano con più difficoltà negli stomaci già riempiti di ricche portate: la torta di tagliatelle, le sfrappole, i sabadoni, le raviole, il certosino, gli zuccherini, la torta di riso, le mistocchine, le tagliatelle fritte, la ciambella dura e tenera, la pinza… Alcuni di questi erano legati a festività o ricorrenze: le raviole si cucinavano per San Giuseppe, il certosino per Natale, gli zuccherini per gli sposalizi, le tagliatelle fritte e le sfrappole si preparavano per Carnevale.

Anche la torta di riso è un dolce da sempre collegato ad una ricorrenza precisa, la Festa degli Addobbi. Pressapoco nel 1470, il cardinale Gabriele Paleotti istituì questa importante festa cittadina che si ispirava all’antica processione per il Corpus Domini.

Ogni anno, cinque parrocchie della città celebravano la Festa degli Addobbi secondo una cadenza decennale. I festeggiamenti culminavano nella processione che si sviluppava per le strade appartenenti alla Parrocchia.

Il nome di Festa degli Addobbi derivava dal fatto che le finestre sulle strade venivano ornate, per cinque giorni, con bei drappi damascati e tappeti. Gli Addobbi, appunto, I parrocchiani spargevano, inoltre, fiori lungo il percorso della processione, costruivano apparati trionfali e altre scenografie nelle piazze e piazzette, esponevano quadri. Si fasciavano le colonne dei portici con dei velluti preziosamente ricamati e lungo il percorso della processione, venivano distesi dei veli da un lato all’altro della strada. La sera sulle finestre, sui balconi, si esponevano candelabri e lumini accesi. C’era una vera competizione tra una Parrocchia e l’altra, nella ricca Bologna di un tempo, per rendere più sfarzosa la festa sotto i portici e per le strade.

Era una vera festa di popolo, una festa con le porte delle case aperte per accogliere parenti e amici ai quali si offriva il lambrusco e la torta di riso, denominata “Torta degli Addobbi”. Una specialità solo di Bologna.

Napoleone Bonaparte dileguò in un baleno questa ricorrenza e fu ripristinata, seguendo toni minori, nel 1818.

A questo punto facciamo qualche considerazione sulla Torta degli Addobbi prima di fornire le ricette.

Essendo un dolce popolare, non esiste una sola ricetta autentica ma tante ricette con sensibili varianti nella quantità degli ingredienti. Quella depositata presso la Camera di Commercio, che qui riporto, pretenderebbe di dare un crisma d’ortodossia ad un qualcosa che esiste solamente in termini di innumerevoli vulgate.

La Torta degli Addobbi non appare particolarmente bella, ma è una prelibatezza ricca e squisita.

Apparentemente semplice nella fattura, occorre pazienza per fare bene questa torta.

Solitamente io inizio la prima fase di lavorazione prima della cena poi lascio fermo l’impasto per una notte e l’intera mattina successiva e, infine,  cuocio in forno nel pomeriggio.

Dopo la cottura, è bene che la torta rimanga ferma per un giorno o due, meglio al fresco, affinché il raffinato gusto della torta si esalti al massimo. La regola empirica è che più giorni passan e più diventa buona.

La torta di riso, inoltre, è pesante per via dell’umidità che deve conservare anche dopo svariati giorni. Guai mai se risulterà asciutta.

Per la cottura è bene sempre utilizzare uno stampo metallico assai spesso.

Questi sono gli ingredienti delle tre varianti che propongo.

Ricetta depositata alla Camera di Commercio di Bologna

Latte, 1 litro

Riso, 200 gr

Zucchero caramellato, 200 gr

Zucchero vanigliato, 100 gr

Tuorli d’uovo, N.3

Uova intere, N.3

Mandorle 100 gr

Un bicchierino di mandorla amara

Cannella, una stecca

Chiodi di garofano

La buccia grattugiata di un limone

Un pizzico di sale

Quattro o sei amaretti, facoltativi

Ricetta della signora Lena

Questa ricetta fu data a mia madre da una vicina di casa che mi aveva visto nascere. La signora Elena, da tutti chiamata Lena. Aveva gestito una trattoria sotto casa mia, in Via Galliera, ed era la sorella del proprietario della Trattoria ‘Da Vito’, la trattoria degli artisti, dove andavano Francesco Guccini, Lucio Dalla, Ron, Andrea Mingardi, Giorgio Gaber, Red Ronnie.

Latte, 1 litro

Mandorle, 150 gr

Riso, 150 gr

Cedro candito, 100 gr

Zucchero vanigliato, 50 gr

Amaretti, 100 gr

Zucchero, 100 gr

Uova, N.6

La mia ricetta

Trascrivo ora la ricetta che di gran lunga prediligo. Il risultato è un dolce particolarmente raffinato, quasi da alta cucina. Si trova nel bellissimo libro dal titolo «La cucina di Bologna» di Alessandro Molinari Pradelli (figlio del grande direttore d’orchestra Francesco Molinari Pradelli).

Latte 1 litro

Riso originario, 100 gr

Zucchero vanigliato, 100 gr

Zucchero semolato, 400 gr

Mandorle dolci, 100 gr

cedro candito, 100 gr

Amaretti, 50 gr

Tuorli d’uovo, N.6

Albumi, N.4

Mezzo bicchiere di liquore alla mandorla amara

La scorza grattugiata di un limone

Un pizzico generoso di sale

La preparazione è la seguente:

Portare all’ebollizione il latte, quindi aggiungere il riso, una presa di sale, la buccia grattugiata di un limone. Abbassare la fiamma e fare cuocere fino a che il latte sarà totalmente assorbito.

Nel frattempo tostare le mandorle sbucciate e poi sminuzzarle grossolanamente. Tagliare il cedro a cubetti. Tritare gli amaretti ed ammorbidirli con mezzo bicchiere di liquore alla mandorla amara.

Poco prima di togliere il riso dal fuoco, caramellare lo zucchero nelle quantità prescritte. Quindi incorporare il caramello al riso cotto, poi aggiungere lo zucchero semolato, le mandorle tritate e il cedro candito. Lasciare che il composto si raffreddi e quindi aggiungere le uova intere e i tuorli, amalgamando con energia.

Coprire il tegame e lasciare riposare per almeno dodici ore.

Il giorno dopo, imburrare lo stampo metallico e cospargerlo di pan grattato. Versare il composto nello stampo e cuocerlo a 160 gradi, per almeno quarantacinque minuti. La torta sarà cotta quando, punzecchiando al centro con uno stuzzicadenti, esso uscirà asciutto. Togliere, allora, la torta dal forno e versarvi il liquore alla mandorla amara a volontà, fino a che ne assorbirà. La torta di riso deve essere ubriacata di questo liquore. A me piace aggiungere anche un poco di alkermes.

Lasciate che la torta si raffreddi e riponetela in frigorifero per almeno un giorno.

Non va tagliata a fette, ma si devono formare delle losanghe, al centro di ognuna si pianteranno degli stuzzicadenti per facilitarne la presa.

La Torte degli Addobbi deve essere gustata con le dita.

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