Prima di recarmi da Tullio e, soprattutto, dopo l’ascolto della registrazione dell’aria verdiana – ardua prova per ogni cantatrice – sentii una discreta agitazione. Avrei conosciuto un soprano in carne e ossa condannata a fare una carriera nei grandi teatri! Temevo che se la sarebbe tirata, di trovarmi davanti una femme fatale, e che l’emozione m’avrebbe fatto un brutto scherzo tanto da sentirmi in imbarazzo sino a diventare inopportuno.
All’occorrenza, pensai, mi sarei tolto da ogni impaccio facendole dei complimenti sperticati.
Le mie ansie anticipate ebbero requie fin dai primi istanti. Più che un fascinoso soprano con le camelie della Valery tra le mani, Evelina pareva perfetta per montare cucine componibili con cacciavite, trapano e seghetto elettrico.
L’imbarazzo temuto mi sopravvenne imprevedibilmente non per il divismo sopranile di Evelina.
Dal loro atteggiamento pareva chiaro che i due avessero una relazione sentimentale o, per lo meno, carnale. Tullio si sedette sul divano ed Evelina gli salì sulle ginocchia. Lui prontamente la avvolse con i suoi tentacoli e prese a toccarla lascivamente. Mentre Tullio le accarezzava certe parti del corpo, il giovane soprano lasciava fare. Mi mise a disagio l’eccessiva esibizione di sensuale intimità – odio le coppiette che amoreggiano per strada, figuriamoci se questo capita proprio davanti ai miei occhi!
Come se niente fosse, mentre l’altro toccava, Evelina giunse a parlare di Edmondo, quello con cui condivideva gli insegnamenti in parrocchia, colui che sarebbe stato il proprio ragazzo, insomma. Con grande naturalezza, Evelina si aprì dicendo di amare il catechista ma quello ancora non decideva di fare il primo passo. La ragazza sacrificava i propri pomeriggi stando a guardare Edmondo chino sui libri universitari senza che le rivolgesse almeno uno sguardo. Putain amoureuse ou femme désappointée?
Non sapevo se prendere sul serio le mie orecchie o i miei occhi.
Tullio non era molto cambiato rispetto a due anni prima: occhi chiari dallo sguardo penetrante, naso importante, alto con le gambe a X, fisicamente non trascurabile, portava i capelli castani all’indietro, un poco mossi e sbiaditi. Aveva modi leziosi, effeminati, in contrasto con la sfacciata inverecondia che ora dimostrava con l’amica cantante. Questo suo aspetto era nuovo perché, al liceo, mi sembrava tutt’al più un tipo da Azione Cattolica.
E giunse il momento di cantare.
Tullio mise sul giradischi La serva padrona.
Et voilà, l’orchestra partì, insieme al tedio che questa musica mi procurava.
Zìn-zin-zin Zinzin zin Zinzin zi-in, principiarono a saltellare gli archi e il basso continuo.
La voce di Tullio sembrava provenire dalla gola di un vecchio: non brutta di timbro ma opaca, gutturale, ingolata, senza alcuna luce, un poco catarrosa. Esattamente l’opposto delle voci esuberanti e squillanti che piacciono a me.
Arrivò il momento dell’Aria di Serpina. Finalmente avrei ascoltato la Diva!
Dalla gola di Evelina non uscì la voce radiosa della registrazione ma un suono esiguo e privo di ogni smalto, come se avesse una forte afonia oppure se quello fosse il giorno successivo ad intervento chirurgico sulle corde vocali.
«Starà male» pensai «Eppure, per parlare la voce ce l’ha. Anzi starnazza per bene»
Non dissi nulla, i due continuarono a cantare e a dimenarsi con l’unica interruzione per girare il disco, ma la voce del soprano non veniva fuori.
Sui «Tippitì…tippitì…tippitì» del finale fece una bella stecca, allorché disse senza scomporsi:
«Toh, mi è venuto un raspino. Lo rifaccio!», con serio tono professionale.
Capii che quanto aveva cantato fino a quel momento l’aveva soddisfatta.
Tullio tornò indietro con il disco e lei riprovò. Nulla.
«C..zzo, c’ho proprio un catarrino lì che non si muove neanche a morire!», schiarendosi la voce.
Riprovò e qualcosa uscì:
«Teppetòoo…teppetòoo…teppetòoo…»
Evelina sorrise con soddisfazione:
«Ora sì, è venuto»
Nel finale d’opera ci fu un ritorno all’antefatto già visto poc’anzi: Il conte Ubaldo si mise su una sedia e la segaligna Vespina si sedette sulle sue ginocchia. E lui riprese a toccare.
Tullio, allora, mi chiese:
«Che ti sembra?»
Al termine di qualsiasi esibizione il pubblico manifesta il proprio gradimento. Ma io che avrei dovuto rispondere? Non sapevo cosa avessi ascoltato, se una cantante ammalata o chi altro.
Riuscii solo a dire:
«Beh, siete stati divertenti. No?»
(Continua)