Di giovedì, spesso faccio un salto in Piazza VIII Agosto per dare un’occhiata al mercato delle robe usate. Non vi sono tante bancarelle, sì e no una ventina, cosicché più che un mercato ricorda un piccolo raduno di nostalgici del passato. Si possono acquistare mobili, soprammobili, dischi in vinile, fumetti, locandine cinematografiche, bigiotteria, gioielli in oro basso, abiti. E tanti libri. Tutto d’antan. Quasi una metà degli ambulanti vende libri di seconda mano. Qualcuno di questi non passa inosservato. C’è un signore molto pittoresco e molto affabile con gli occhi bovini e rubizzo come un alcolista. Sembra Modest Mussorgsky, compositore da me prediletto, e forse per questo il libraio mi sta simpatico, ritratto dalla grande pennello di Ilia Repin. Ha libri interessanti – tant’è che davanti a questo banchetto sosta anche un noto universitario bibliofilo – però sempre sbrindellati, perlopiù tenuti insieme con un elastico ma venduti ad un prezzo eccessivo, considerate le loro condizioni. Un altro libraio dall’aria svagata offre sempre libri in ottime stato, molti imbustati con cellophane trasparenti; bei titoli e di genere assai vario. Questo ha un fisico imponente, abbondante di cintura. Un plaid gli ripara le larghe spalle dal freddo ed una berretta di lana con il pompon la testa. E’ impossibile non notarlo. I librai del mercatino sono tutti accomunati dal fatto che hanno un angolo, più o meno ampio, dedicato al fascismo oppure dedicato a libri stampati durante il ventennio della dittatura, in consonanza con l’orientamento politico dominante; anche sui banchetti che offrono solo oggetti è frequente trovare paccottiglia fascista. Essendo così diffusi, è evidente che questi feticci hanno molti acquirenti, non necessariamente ‘nostalgici’. Anch’io acquirente compulsivo di robe vecchie ho ceduto, nonostante la mia manifesta avversione per il fascismo. Ed ora racconto come questo è avvenuto. Amo molto gli oggetti in bronzo; dal rigattiere che sta sotto casa ne ho comprati alcuni di un certo pregio. Statue e busti. Uno di questi è opera della prestigiosissima mano di Vincenzo Gemito. Un giorno, però, il rigattiere ha prelevato da un piccolo stipo un nuovo oggetto: un busto del cavalier Benito Mussolini in giacca, con un piccolo fascio all’occhiello del bavero, montato su di un piedistallo di marmo verde Guatemala. Purtroppo un busto bellissimo. «È bellissimo…ma Mussolini no, proprio non ce la faccio a tenermelo in casa!», esclamai con un po’ di sofferenza perché in quel momento stavano lottando in me l’ideologia contro il piacere che proviene dalla bellezza, nonostante il soggetto imbarazzante. Per rimuovere le mie resistenze, il rigattiere, ottimo venditore, mi rispose in maniera totalmente allineata con l’attuale revisionismo: «Ormai devi pensare che Mussolini è parte della storia d’Italia…» Continuò l’argomentazione poco appassionante con un suo asso nella manica: «E poi hai presente il dottor Masotti? Beh, quello è un pezzo grosso della CGIL, un comunistone, eppure lui è appassionato di tutte le cose del fascio…se glielo mostrassi mi comprerebbe questo busto senza pensarci sopra due volte». Che effetto produsse la briscola giocata del rigattiere? Nessuno. Quel giorno non trovai il coraggio anti ideologico per comprare il bronzeo cavalier Benito. Passarono diversi mesi senza parlare del busto col rigattiere. E un giorno nel ricordo riaffiorò. «A proposito, hai poi venduto il bronzo a Masotti?» «Quale bronzo?», chiese il rigattiere. Ed io un po’ innervosito: «Ma sì…la testa di Mussolini!» «Aaaaah, non gliel’ho mica fatta vedere sai? Tanto Mussolini lo vendo sempre in un momento. E allora la vuoi?» Come un fine psicologo, centrò la mia debolezza. «Sai bene che a te faccio sempre un buon prezzo». «Non è questione del prezzo…è il soggetto che mi frena. Però è troppo bello questo bronzo…vabbè te lo compro. Non so dove lo collocherò» «Ti metti troppi problemi. Quando una cosa è bella…è bella. E lascia perdere la politica!» Prese dei fogli di quotidiano con cui involse il mio Mussolini e lo infilò in una sportina di plastica del supermercato. «Hai fatto la cosa giusta», porgendomi l’involto certamente indegno per un dittatore. In pochi minuti ero in casa. Accorse mia madre curiosa. «Cos’hai comprato?» Scartai il nuovo acquisto in silenzio. «Bello!» «Ma hai visto chi è?» «Certamente…è Mussolini. Guarda che io ho vissuto il fascismo, quando facevano bere l’olio di ricino, quando con la tessera passavano un etto di pane al giorno a testa, quando i fascisti volevano buttare nel pozzo mio nonno, quando ci portò in guerra con i tedeschi…» Fermai quella elencazione già ascoltata so quanto volte: «Ma allora non ti infastidisce d’avere il busto di Mussolini in casa?» «Perché mi dovrebbe infastidire? È la Storia» Rimasi interdetto. La stessa frase pronunciata dal rigattiere qualche mese prima. Come finì questa vicenda? Anzi dove collocai il busto di Mussolini? Nella mia stanza, su un piano basso della libreria, in mezzo ad altre cose, voltato verso il muro: «In castigo! Ti devi vergognare per tutto quel che hai fatto». E come se non bastasse, quasi un contrappasso oppure per neutralizzare la presenza del dittatore fascista, alle pareti ho messo un tondo in gesso di Palmiro Togliatti ed un bel carboncino sovietico con il ritratto di Lenin!