Locuzioni indigeste

Quando ero adolescente mi indisponevano alcune locuzioni.
Farò qualche esempio.
Durante gli anni del Liceo, era la prima metà degli anni settanta, fummo invasi dalla locuzione Nella misura in cui… specialmente nell’ambito della sinistra in cui, bene o male, militavo; aveva un che di intellettuale, in maniera blanda. Ricordo come essa fioriva e rifioriva sulla bocca di uno studente che organizzava le assemblee di istituto per un gruppo della sinistra extraparlamentare. Costui decollò da Potere Operaio e qualche anno dopo atterrò nel Partito Socialista Italiano di Bettino Craxi. Tutt’ora lo santifica…un vero esempio di fedeltà; chissà se utilizza ancora quella locuzione. Nella misura in cui… si diffuse rapidamente come una malattia esantematica, tanto che, dopo qualche tempo, pure il democristiano Ciriaco De Mita la esibiva nei suoi incomprensibili discorsi, aumentandone la sfuggevolezza.
E durante le lezioni un professore esibì con apparente indifferenza il raffinato tormentone del Tout court…. Mitragliate di Tout court… Un cadeau di cui nessuno comprese il significato in maniera diretta, né alcuno allievo ebbe il coraggio di alzare la mano per ottenere i dovuti chiarimenti. Arrivammo al significato e le modalità d’uso interpretando, ovviamente, il contesto. Fu uno stratagemma per attrarre l’attenzione di noi allievi? Nessuno però scimmiottò l’autorevole professore nell’utilizzo di questa locuzione.
Se uno, ai primi degli anni Ottanta, intendeva farmi indispettire era sufficiente che dicesse o mi rispondesse Non c’è problema… In inglese è assai meglio: un secco No problem. Mi ricordo che in vacanza a Pola, un venditore di magliette, alias t-shirt, ne indossava una con su scritto in croato Nema problema. Si diffuse in ogni paese.
Tanto più sentivo utilizzare queste locuzioni, quanto più mi aumentava l’irritazione. Così era allora, così è oggi con i tormentoni linguistici di moda.
Con riguardo alle mie idiosincrasie , attualmente è frequente sentire dai politici di vario livello e orientamento ideologico, e mica solamente dai cosiddetti peones, la succinta metafora «la tal cosa appartiene al nostro DNA». Essa mi smuove veramente i nervi.
Così mi irrito sentendo dire I social. Questo avviene continuamente anche perché gli uomini hanno perso il senno e tutta la vita viene vissuta nei cosiddetti nei social. Sono diventati più veri del vero.
Odio nell’ambito gergale il giovanile àmo, odio una sfuggente parola come Implementazione con relativa forma verbale e altre derivazioni. E parimenti non sopporto l’invasione di metafore sportive nei ragionamenti politici, inaugurata da quel re dell’anacoluto che è stato Silvio Berlusconi. Un modo semplice per attrarre la benevolenza di un elettorato non incline ad arzigogoli. Conditi con qualche barzelletta, ha sguazzato in questa risibile miseria verbale per un ventennio.
Nondimeno è risibile, ma pur sempre irritante, se proviene da un certo livello, il rimaneggiamento di una famosa sentenza latina che attualmente viene ridotta in questo modo: «È meglio abbondare che deficere». Deficienti.
Ho odiato e sempre odierò visceralmente tutti i discorsi che principiano con Io sono uno che…. Questa mia avversione nasce dai tempi della prima adolescenza perché il mio zio materno abusava di questa locuzione per elencare una serie di belle qualità che poi non trovavano alcun riscontro nei fatti. Ovviamente non c’era mai posto una notazione negativa come «Io sono uno che racconta balle», «Io sono uno che non tiene fede alla parola data», «Io sono uno che si comporta ipocritamente». Nell’ambito delle mie attuali amicizie, attualmente, conto due persone che utilizzano questa espressione…e io subisco. Ho smontato il loro gioco ma non posso contestare o contrapporre alcunché.
E io mi inciampo in locuzioni che mi infastidiscono? Ne utilizzo qualcuna? In verità, pongo molto attenzione nel non infliggere agli altri ciò che mi infastidisce e, quindi, parlo in maniera consapevole, ben controllando ciò che dico.
E che cosa penso di queste mie intolleranze linguistiche? Che probabilmente, decenni or sono, era uno snobismo giovanile. Con il tempo esso si è evoluto diventando un tic senile.

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