Daniele Gatti dirige Wagner e Brahms

Ieri sera, 11 aprile, l’orchestra Mozart ha eseguito, sotto l’attenta conduzione di Daniele Gatti, un bel programma sinfonico che comprendeva l’Idillio di Sigfrido di Richard Wagner, le Variazioni su un tema di Haydn op. 56a e la Sinfonia n.4 op.98 in mi minore di Johannes Brahms.
Poiché i miei gusti, quanto alle musiche e quanto allo stile di interpretazione, sono mutati nel tempo, espliciterò le mie riflessioni rispetto sia ai miei gusti passati che a quelli attuali gusti.
I due criteri di giudizio convergono sul fatto che la concertazione dell’orchestra è stata ottima, precisa, senza sbavature. Daniele Gatti da questo punto di vista è sempre inappuntabile come lo fu durante i tanti anni trascorsi a capo dell’orchestra del Teatro Comunale; il termine del suo mandato, rispetto alla qualità esecutiva, sembrò significare Après moi, le déluge. Dopo Gatti, per l’orchestra, se non ci furono temporali seguì tanta pioggerellina, dapprima leggera, sparsa qua e là, ma da qualche anno rinforzata in vera pioggia.
Secondo i miei gusti passati, l’interpretazione di Daniele Gatti sarebbe stata ritenuta ottima per via del cesello, del fraseggio analitico, del saper dare senso al particolare, del fare cantare come una voce umana. Pertanto Wagner è stato sviscerato da Gatti allontanando ogni tentazione di magniloquente retorica, riportato a una dimensione affettuosa e cameristica anche perché il Siegfried dell’Idillio non è quello nibelungico del Ring, ma il suo unico figlio maschio e il brano fu una sorpresa per la moglie Cosima Liszt, eseguito nella loro villa il giorno di Natale in occasione del suo compleanno, anche se era nata il 24 dicembre. In casa Wagner ogni cosa non era normale… Il taglio analitico e cesellatore è stato mantenuto anche per le musiche di Brahms, seppur rispettando, specialmente nella sinfonia, i contrasti vari tematici e formali.

Viceversa il mio gusto attuale mi porta a tenere in particolare considerazione quelle interpretazioni che si esprimono per grandi arcate di una navata, proprio come se il brano fosse una cattedrale, arcate di fraseggio, suono, e grandi arcate di pensiero, visioni interpretative meno attente al dettaglio, all’hic et nunc, ma che semmai guardano sempre al dopo, e poi al dopo ancora, e così via. Mi piacciono quelle interpretazioni in cui riesco a individuare le lievi pulsazioni del cuore della musica, il tempo, quando riesco a percepirne il tactus. E questo non l’ho percepito ieri sera, pur comprendendo, apprezzando, la visione e la bella prova di Daniele Gatti.
Unico limite della serata è stata l’ingrata acustica dell’Arena del Sole, non consona ad un’orchestra sinfonica: non favoriva gli impasti ma separava le sezioni degli strumenti, con il prevalere degli strumenti a fiato sugli archi. Sarebbero stato necessario un rinforzo in quest’ultima compagine.
Il termine di ogni brano è stato costellato da sonori, prolungati, applausi.

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