Al contrario di me, la mamma non sentì mai nostalgia per la Casa delle Meraviglie di Via Galliera. E, quando seppi che il vecchio palazzo rinascimentale ormai fatiscente stava per essere rimesso a nuovo dopodiché venduto, chiesi: «Mamma, ritorniamo ad abitare in Via Galliera?» «Mò gnanc par insónni, io non lascio casa mia!» La mamma in questa seconda casa declinava mantenendo una fisionomia giovanile, ravvivata dalla vanità con bei capellini e bella bigiotteria, e uno spirito combattivo; sentiva il progressivo svanire della forza e la osteggiava prendendosi cura di me quasi come se fossi ancora piccolo. Forse non provava attaccamento per la vecchia casa di Via Galliera perché nel rimpianto della lontana folla di persone che là aveva aiutato sentendosi utile, a cui mai più sarebbe stato possibile ridare sostanza, si nascondeva il compianto per il diminuire dello slancio verso l’alto. «Non andare in pensione» mi disse «perché dopo finisce tutto.» In questa casa la mamma lavorava, lavorava, lavorava, creando oggetti da donare a chi amava, ognuno brandello del proprio tempo sempre più piccino e prezioso, per essere ricordata dopo di sé. Nemmeno per sogno aveva risposto, lei che viveva nel sogno. Sorrisi perplesso alla risposta secca della mamma: per me ritornare in Via Galliera, nella mia casa natale, avrebbe invece completato la riappropriazione della parte di me che avevo tenuto all’ombra facendola rivivere in qualche mondo parallelo del possibile, nelle mie fantasticherie. Speravo per lei una serena vecchiaia prolungata e invece si susseguirono una serie di severi avvenimenti avversi: dapprima la mamma ebbe un ictus ischemico a cui seguì, dopo dieci giorni, una rara infezione cerebrale e poi contrasse una grave polmonite bilaterale da Sars-CoV2. Tutto questo la condusse a trovarsi in fine di vita. Essendo ancora i giorni di lockdown, durante la maledetta primavera del 2020, la mamma sarebbe stata cremata contro la sua volontà, senza esequie, senza poterla baciare per un’ultima volta. «Dovresti pregare per la mamma…le preghiere intense e continuate, dette con il cuore, aiutano i malati gravi», mi disse un’amica quando sentì che la mamma era in una strada con poche possibilità di ritorno, e continuò: «Una signora che conosco spiega come fare. Guarda i suoi filmati in You Tube.» I filmati non mi convinsero affatto. Avendo impiegato tanto tempo per ammettere la Magia tra i miei pensieri, non ero disposto a dare credito a persone senza un’evidente autorevolezza, nemmeno nelle condizioni di disperato bisogno in cui mi trovavo. «Non so pregare, non sono nemmeno religioso…Ci vorrebbe il babbo.» Mi balenò allora un’idea folle per me: «Ho talismani, stole, candele, acqua e profumo benedetti…e ho gli esorcismi! Farò l’unica cosa che posso fare per lei…» Tolsi dal comodino della mamma la rubrica su cui il Mago aveva scritto le sue formule magiche. Trovai in fretta quella che mi interessava: Per segnare infermi e sfiduciati, lo scopo era chiaro. Avevo impresse in mente le fasi del rito, ora conoscendo l’esorcismo avrei potuto eseguirlo con esattezza ma era tardi: la notte mi incusse paura, come avveniva quand’ero giovane. La mattina successiva disposi le cose sul tavolo della stanza da pranzo secondo l’ordine che ben ricordavo così ma, soprattutto, avevo chiaro lo svolgimento del rito. Non potendo avere la mamma presente presi uno scialle indossato fino all’ultimo giorno in cui era rimasta a casa per operare con qualcosa che le apparteneva con delle sue tracce organiche. Lo posai tra i due talismani e iniziai con grande emozione la prima segnatura della mia vita: il disperato bisogno mi induceva a percorrere strade sconosciute. Non c’erano più remore, avevo a disposizione le formule adoperate con pieno successo dal più valente dei Maghi e i suoi strumenti per perseguire il più nobile dei fini: salvare la persona che mi ha maggiormente amato. Ma gli spiriti avrebbero servito il figlio del Mago che per tanto tempo li aveva reclusi in un cassetto della sua mente? Sarebbero stati così generosi con me da concedere altro tempo alla mamma? Accesi le candele piantate nel grano, mi feci il segno della croce, ponendo le mani sullo scialle con le dita incurvate, mormorai per tre volte l’esorcismo, chiedendo i servigi a spiriti il cui nome conoscevo da sempre. Bagnai un batuffolo di cotone con dell’alcol, così sfiorai lo scialle descrivendo una croce, lo posai sui rebbi spuntati di una vecchia forchetta affumicata e lo posi sulla fiamma delle candele. Mentre il batuffolo bruciava eseguii dei gesti magnetici su esso e sullo scialle come per strappare via qualcosa, ciò che di negativo assediava la mamma, poi scrollando la mano come se stessi sgocciolando un liquido. Appoggiai la bocca sullo scialle per insufflare per tre volte tre il fiato. Questo mi causò una forte emozione perché era quanto più colpiva durante le segnature, mi ricordava il salvamento con la respirazione bocca a bocca, oppure l’alito di vita che Dio soffiò nelle narici di Adamo: così feci io. Posi nuovamente le mani sullo scialle e ripetei per tre volte formule soccorritrici, quindi feci su esso il segno della croce con un nuovo batuffolo di cotone imbevuto di profumo benedetto. Sentii improvvisamente sprigionarsi dal petto un senso di appagamento per avere superato lo spazio e le barriere che le circostanze di quei giorni ci imponevano. Nel primo pomeriggio telefonai al reparto di terapia intensiva. Le condizioni della mamma rimanevano assai gravi. Ma come mamma…non vuoi vivere? Non vuoi più vedermi? È difficile giustificare la sofferenza, l’accanimento della sorte contro la persona che si ama di più. No, quella donna al Bellaria non poteva essere la mia mamma. Alla stessa ora del giorno precedente ripetei la segnatura e nuovamente chiamai l’ospedale. Mi rispose con emozione la neurologa: «Stiamo assistendo un miracolo! Sua madre è negativa al primo test per la Covid!» Non capii immediatamente il significato delle parole, essendo ormai assuefatto a ricevere solo brutte nuove. Scivolai in un limbo di incredulità intontita perché la gioia da settimane era fuori dal mio orizzonte. Tre settimane prima, il virologo con cui parlai quando la mamma fu ricoverata con la polmonite bilaterale mi disse: «La sua mamma è in condizioni critiche e la Covid è la cosa meno grave; sappia che faremo di tutto per salvarla.» Mi rincuorai perché erano tempi duri: pensavo che, vista l’emergenza, i vecchi più malandati sarebbero stati lasciati al proprio destino. Parlai con il virologo più volte durante il ricovero. Avvertendo la mia prostrazione, un giorno si interessò a me chiedendomi del mio legame con la mamma. In un periodo in cui erano proibiti tutti i contatti ravvicinati, pronunciò per salutarmi delle parole preziose: «La abbraccio.» E proprio il virologo gentile confermò quanto la neurologa aveva detto il giorno prima: la mamma era negativa alla Covid. «Fino a qualche giorno fa le condizioni erano disperate. Sua mamma ha deciso improvvisamente di vivere.»
(Continua)