Ettore Pagano e Lorenzo Passerini: cinquantuno anni in due

Non mi appassiona il pensiero che per fare belle cose nella vita come nell’arte sia necessario lo scorrere di un po’ di tempo per raggiungere quella cosa stufosa che è la maturità… parola che mi stanca prima d’aver terminato di scriverla. La maturità senza quel quid, quella cosa indefinibile a parole ma percepibile distintamente attraverso un messaggio o prove quasi subliminali, il cosiddetto talento e che nei Grandi Artisti è grande inventiva, originalità, individualità e anche fuoco. Certo, il tempo è necessario per acquisire e affinare gli strumenti, ma poi un vero artista, per essere tale, per diventare un grande, dovrà disimbrigliare il talento dal resto. Nell’ambito della musica senza un’ottima tecnica non si fa nulla, essa è la condizione necessaria per diventare un buon artista ma non sufficiente per essere un Grande Artista; nel primo caso il tempo e la maturità saranno un grande ausilio, nel secondo caso il Grande Artista avrà dentro a sé una sorta di predestinazione, il talento appunto, che lo renderanno grande da subito, anzi il tempo e la maturità potranno, eventualmente, intorpidire l’iniziale esplosione. Diciamo che il buon artista è un compilatore mentre il Grande Artista trova nella giovinezza la forza del creatore. Mi piace pensare a Maria Callas che a venticinque anni era gigantesca e a trentadue aveva preso la strada del declino. E sono straordinariamente felice allorché vedo la grandezza strettamente avvinghiata alla giovane età.
Questo preambolo per dire che nel concerto sinfonico dell’orchestra del Teatro Comunale all’Auditorium Manzoni di sabato 6 maggio si sono incontrati due talenti di particolare forza: il violoncellista Ettore Pagano e il direttore Lorenzo Passerini, che facevano cinquantuno anni in due.
Ettore Pagano ha solo venti anni e ha vinto più di quaranta concorsi nazionali e internazionali! Quando è salito sul palcoscenico ha colpito l’ossimoro costituito dall’aspetto di ragazzo di questo tempo con la frangia spettinata in avanti e un violoncello in mano; poteva essere uno di quei ragazzi che, contemporamente fuori dal teatro, a pochi metri di distanza, stavano facendo transumanza con la birra da un bar all’altro, e invece Ettore Pagano eseguiva a memoria un raro pezzo da novanta per complessità e difficoltà come il Concerto-Rapsodia per violoncello e orchestra di Aram Il’ič Chačaturjan. Pagano ha la caratura di virtuoso dal suono pieno e ammaliante, suono uscito peraltro vittorioso sull’abbondante strumentazione del brano, e ne è stato interprete appassionato e istrionico, una specie di Paganini del violoncello. Io avendo il posto al centro della prima fila, sotto il podio direttoriale, ho potuto vedere e ammirare il coinvolgimento, la concentrazione, una specie di immersiva tranche nella musica, che si ritrova solamente negli artisti di rango superiore. Bellissimo il bis, musica contemporanea non conosciuta di rara difficoltà, dai richiami etnici durante il quale Pagano ha anche cantato, raddoppiando il violoncello, una salmodia.
E il caso, o la fortuna, o la lungimiranza della direzione artistica del Comunale, ha radunato nella stessa serata un secondo grande talento, quello del direttore Lorenzo Passerini. Anche Passerini colpisce di primo acchito per un’immagine lontana dallo stereotipo del direttore d’orchestra: magro, slanciato, sale e scende dal podio con leggerezza, anzi vola. Il gesto è ampio, esplosivo e dirige con l’intero corpo; sbracciandosi ampiamente incombe sull’orchestra e la abbraccia, sembra un ballerino; ricorda contemporaneamente il gesto di Furtwängler, di Mahler (almeno come viene ritratto dai caricaturisti contemporanei), di Bernstein e di Delman. Il risultato è stato molto autorevole, caratterizzato da un’energia e precisione tali che hanno coinvolto tutta l’orchestra. Oltre alle fantasmagorie strumentali del brano di Chačaturjan, Passerini ha seguito l’ouverture Abu Hassan di Carl Maria von Weber e una straordinaria Sinfonia N. 2, Piccola Russia, di Pëtr Il’ič Čajkovskij con grande varietà di colori e intensità espressiva. Il rapporto con l’orchestra è stato molto bello poiché, al termine del concerto, durante gli applausi, Passerini è rimasto in mezzo agli orchestrali, come per dire io sono solo primus inter pares, per dire io senza di loro sono nulla, facendo alzare prima i solisti e poi una sezione per volta, e come un’espressione d’amore per il suo strumento, l’orchestra, li ha abbracciati; solo dopo lunghi applausi e ovazioni è venuto a prendere il meritato successo.
Bellissima serata, insomma.

Bellissimo concerto diretto da Roberto Abbado

Ieri sera, 17 aprile, sono entrato con scarso entusiasmo all’Auditorio Manzoni per via del programma relativo al concerto della Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna capeggiata dal suo direttore Roberto Abbado con l’intervento del soprano Nicole Wracker e dell’attore Sandro Lombardi. È stato un concerto veramente bello a cui il pubblico ha tributato, io tra quelli, un grande, convinto, meritato successo con anche un applauso fuori ordinanza tra il primo e secondo tempo della sinfonia di Schumann ieri sera, per cui ne sono uscito assai contento.
La prima parte del programma comprendeva Meerestille und glückliche Fahrt di Felix Mendelssohn Bartholdy, la Sinfonia in Sol minore, WoO 29 «Zwichau» di Robert Schumann, mentre nella seconda parte, Egmont op. 84 di Ludwig van Beethoven. Lo Schumann sinfonista non mi convince, in particolare ascolto la seconda sinfonia con molte remore, anzi se posso la evito, per via d’aver preso Beethoven come senza ben riuscirvi, di Beethoven (d’altra parte Gustav Mahler nella sua revisione la corresse sensibilmente); la sinfonia Zwichau invece, lavoro giovanile incompiuto, mancano due movimenti, mi è piaciuta molto di primo acchito forse perché, non conoscendola, l’ho ascoltato senza sovrastrutture o pregiudizi di gusto trovandola molto originale. Non impazzisco nemmeno per alcune delle sinfonie di Mendelssohn, ma l’ouverture in questione è molto bella e di grande suggestione. E per quanto riguarda le musiche di scena per l’Egmont di Goethe dico solamente che è Beethoven, ergo musica bellissima.
L’esecuzione di tutto il concerto è stata a un livello molto alto, il suono dei Filarmonici sempre compatto e rotondo, eppure morbido, anche nei momenti di massima espansione, come si conviene alla musica tedesca. L’interpretazione di Roberto Abbado è stata appassionata, piena di slanci, con tempi che sono parsi non solo giusti ma anche «necessari». Insomma, bravissimo.
La voce ben impostata della giovane Nicole Wracker è stata molto gradevole. Bravo Sandro Lombardi, attore di grande valore, nonostante il suo particolare timbro vocale che, per il mio gusto, non si armonizzava con il contesto musicale.

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