Mi era sfuggito il senso del programma dietro al concerto sinfonico di ieri sera 7 aprile, eseguito dall’ottima Orchestra del Teatro Comunale diretta da Oksana Lyniv, all’Auditorium Manzoni; esso è stato esplicitato dal multiforme Luca Baccolini, giornalista che scrive di calcio e di musica, scrittore tout court sulla città di Bologna, prima del concerto – con la sua consueta cordialità e il suo vincente appeal, con osservazioni non da musicologo ma precise, talvolta non interamente condivisibili come, d’altra parte, per tutte le cose – che il concerto non scontato rappresentava una sorta di cammino che partiva dalle tenebre, dalla morte, alla luce della Resurrezione. Già era Venerdì Santo, e questo giustificava la Suite dal Parsifal nell’arrangiamento di Claudio Abbado, qui ovviamente stava la Luce, la Redenzione; le tenebre era rappresentate, fin nel titolo, dal Concerto Funebre di Karl Amadeus Hartmann per violino e orchestra; come ponte tra le due musiche si situava il Concerto n. 3 per violino e orchestra di Jevhen Fedororovyč Stankovyč. Se Baccolini si è assai dilungato sul Concerto Funebre descrivendone la particolare cupezza e la tragicità, non ha speso quasi una parola del Concerto di Stankovyč per giustificarne l’inserimento nell’arco del programma. Ai fatti dell’ascolto, queste due opere misconosciute non mi sono parse interamente conformi alla presentazione, in particolare più per la musica di Stankovyč che per quella di Hartmann. Il concerto di Stankovyč del 1982 è ben orchestrato con il violino solista che canta in maniera contorta senza particolari sobbalzi virtuosistici; non mi pare una musica di spiccata originalità perché si sentivano a turno echi di Prokofiev, Shostakovich e Bartok. Non è parso giustificato il senso dell’inserimento di questo concerto nel cammino programmatico dalle tenebre alla luce se non dal nazionalismo che può unire il violinista e la direttrice, entrambi ucraini al compositore anch’egli ucraino, ravvivate dalle attuali contingenze di guerra. Ciononostante questo concerto ha avuto un successo di pubblico, e il violinista alla terza chiamata anziché fare un bis ha brandito sulla testa la partitura orchestrale del concerto come Mosè fece con le Tavole della Legge. Forse il pubblico applaudiva per sentire un pezzo di una Partita di Bach o un Capriccio di Paganini. Il Concerto Funebre di Hartmann composto nel 1939 risultava assai più moderno, in linea con il modernismo del tempo, inviso ai nazisti. Non avendo paragoni, l’esecuzione di entrambe le musiche mi è parsa molto buona sia da parte del violinista Valeriy Sokolov che della direttrice Oksana Lyniv.
Per quanto riguarda la Suite del Parsifal, per questa i termini di paragone ci sono, l’esecuzione della Lyniv mi è sembrata abbastanza buona, senza generare sia in me che nel resto del pubblico particolari entusiasmi come si converrebbe a Bologna, città wagneriana da sempre. Il preludio all’atto primo mi è apparso troppo veloce, un lento incedere dovrebbe caratterizzare il rituale misticismo di quest’opera definita da Wagner come Azione scenica sacrale. Inoltre, se Pierre Boulez diceva che nel Parsifal il fortissimo non doveva essere improvviso ma doveva arrivare come un legno che cade in una colla densa, viceversa nella direzione della Lyniv ho udito i consueti clangori d’effetto. Insomma, esecuzione non particolarmente fascinosa. Con suono potente e di bell’impasto ha cantato il coro del Teatro Comunale diretto da Gea Ansini Garatti.