Le Sfince di San Giuseppe

E’ un dolce che riscuote sempre un gran successo.
Delizie della tradizione palermitana, io sono probabilmente tra i pochi Bolognesi nati entro le mura che fa questo dolce.
La mia produzione di sfince nacque da una specie di sfida lanciata da un palermitano di razza, a quel tempo ultra ottantenne – il dottor Romualdo, padre di un caro amico. Dopo aver mangiato i miei cannoli, il dottor Romualdo disse che avrei dovuto cimentarmi nelle sfince.
Cercai, quindi, la ricetta e ne trovai diverse varianti. Le provai tutte.

Secondo il dottor Romualdo, la ricetta che meglio s’avvicinava ai vividi ricordi di quand’era giovane, a Palermo, era quella che prevedeva la sugna sia nell’impasto che come grasso di frittura. Con la sugna le sfince risultano, ovviamente, più sapide.
Il mio gusto personale mi fa preferire il burro per la pasta choux e olio di semi di girasole per la cottura dei bignè.
Già. Le Sfince di San Giuseppe sono dei bignè fritti farciti di crema di ricotta.
Dovrete iniziare per tempo perché richiedono una lavorazione non breve.
Principierete dalla preparazione della crema di ricotta:
750 grammi di ricotta di pecora
375 grammi di zucchero semolato
75 grammi di cioccolato fondente
200 grammi di scorze d’arancia candite
Mezzo bacello di vaniglia
Una fialetta da quattro millilitri di fiori d’arancio
Una presa di sale.
Fate sgocciolare ben bene la ricotta avvolta in un burazzo bianco per almeno un’ora.
Riducetela a crema setosa con un setaccio oppure con uno schiacciapatate dai fori piccoli. Dovrete ottenere un crema senza grumi.
Aggiungete quindi una bella presa di sale, lo zucchero, i fiori d’arancio e i semi di vaniglia.
Con un coltello sminuzzate non troppo finemente il cioccolato e mischiatelo alla crema.
Solitamente io ripongo la crema in frigorifero per qualche ora affinché il composto si amalgami e i sapori si compenetrino.
Dopo qualche ora penserete ai bignè.
Propongo la ricetta della pasta choux classica.
350 di farina setacciata
4 decilitri di acqua
5 uova
La scorza grattugiata di un limone
1 pizzico di sale
Portate al bollore l’acqua salata in un tegame antiaderente a cui avrete aggiunto il burro a cubetti e, quindi, buttatevi la farina tutta in una volta. Mischiate energicamente, sul fuoco, con un cucchiaio di legno, per sette-otto minuti, affinché l’impasto risulti omogeneo. Trascorso questo tempo, togliete dal fuoco e lasciate riposare per almeno mezz’ora.
Solo quando l’impasto sarà appena tiepido aggiungerete un uovo alla volta mischiando con forza e, per ultima, la scorza di un limone. Otterrete una pasta appiccicosa da lavorare con due cucchiai metallici.
Passate ora alla frittura.
Riscaldate l’olio, con i cucchiai otterrete delle palline di tre-quattro centimetri. La frittura non deve avvenire a temperatura troppo elevata: le sfince devono soffriggere perché il loro interno si svuoti totalmente.
Occorre avere pazienza, saranno pronte quando non esploderanno più -attenzione, quindi, agli schizzi d’olio bollente – e saranno diventate di un leggero color nocciola.
Deponete su una carta per assorbire il grasso in eccesso.
Aprite i bignè con delle forbici a punta e farcite le sfince con la crema di ricotta. Tagliate delle fettine di scorza d’arancia candita e deponetele, a mo’ di guarnizione, sulla crema che s’affaccia da ciascuna sfincia.
Spolverate, infine, con una pioggia sottile di zucchero al velo vanigliato.
Poiché spesso i canditi di guarnizione non piacciono, e non si può rinunciare al gusto dei canditi, da qualche tempo riduco a cubettini la scorza d’arancio per mischiarla alla crema di ricotta. Una piccola variante che risulta assai grata al palato.
Qualcuno sostiene che le sfince siano più gustose dei cannoli siciliani. Un amico, dopo averle assaggiate per la prima volta, se ne uscì addirittura con questa iperbole:
«Queste sfince sono sono assai meglio di una bella scopata».
Ed io:
«Capisco l’intento elogiativo, ma mi sembra che tu sia carente nella conoscenza del termine di paragone!».
Ma tant’è.

Pensatela come volete.

Le tazzine

E’ un dolce squisito dal gusto raffinato, sensuale, orientaleggiante, forse afrodisiaco.
Pochi sono gli ingredienti:
Cento grammi di zucchero
Sessanta grammi di mandorle sbucciate
Dieci tuorli d’uovo
Un decilitro di acqua
Un nonnulla d’acqua di fiori d’arancio
Un nonnulla di cannella in polvere
Come prima cosa si devono tostare le mandorle al forno e poi tritarle con la mezzaluna non troppo finemente.
Si tuffi lo zucchero nell’acqua in un tegame di metallo e ponetelo sul fuoco. Dovrà bollire per due minuti, al massimo, senza che imbrunisca, poi lo sciroppo ottenuto dovrà intiepidire.
Porre nuovamente il composto sulla fiamma molto moderata ed unire un tuorlo alla volta mescolando con un cucchiaio di legno per lo stesso verso. Esauriti i tuorli, fare addensare sul fuoco sempre girando col il cucchiaio e poi montate ben bene con una frusta, dal basso verso l’alto, fino a che il composto avrà cambiato il colore e sarà diventato denso.
La preparazione della crema termina unendo delicatamente le mandorle e l’acqua di fiori d’arancio.
Versate, quindi, in dieci-dodici tazzine da caffè, senza colmarle, e profumate ognuna con una leggera nuvola di cannella. Qui si spiega il nome del dolce.
Lasciate riposare le tazzine in un luogo fresco per un giorno o due. Gli aromi degli ingredienti così si compenetreranno e s’esalteranno vicendevolmente.
Perfetto come dessert alla fine di un pasto perché, pur essendo sostanzioso, la quantità è tale da non appesantire la digestione, sia come squisitezza da consumarsi in pomeriggio. Oppure quando si vuole. Chacun à son goût.
Ve lo consiglio.

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