Il fattore R(enzi), ovvero il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi

I giocatori d’azzardo amano il rischio. Vogliono vincere ma sanno che possono perdere tutto.

Ve ne sono altri, invece, che giocano non mettendo mai mano alla scarsella. Dicono di giocare per stare in compagnia. Questi giocatori non sono, in generale, un granché e vincono quando incontrano un avversario più scarso o distratto. Se giocano in coppia, si nascondono dietro alla bravura dell’altro.

La Sinistra di Occhetto, d’Alema, Veltroni e Bersani rappresenta questo secondo tipo di giocatore: non ha mai rischiato e, con le proprie forze, non ha mai vinto alcuna partita se non appoggiandosi a qualche partner più forte. A Romano Prodi, un cattolico.

Queste grandi teste di politici hanno dilapidato un grande patrimonio di ideali e di voti.

Bettino Craxi fu il primo politico della Sinistra italiana a commettere il peccato di superbia di scalare Palazzo Chigi.

Craxi era di Sinistra? La risposta è negativa se pensiamo alla Sinistra italiana a prevalenza comunista, sempre vicina ai sindacati, la Sinistra tenuta a bada dal Fattore K.

Con i criteri d oltralpe o d’oltreoceano, invece, Craxi sarebbe stato senz’altro considerato un uomo della Sinistra. Io non sono mai stato craxiano, ma devo riconoscere che il segretario fu uomo di una sinistra non comunista con singolari capacità politiche e personali.

Poi le vicende di Craxi e amici andarono come andarono. Segnarono tristemente un’epoca.

Ma questo è un altro discorso.

Luci e grandi ombre.

E’ un peccato di superbia, un’ambizione luciferina, partecipare alle elezioni con l’effettivo intento di vincerle? Concorrere per vincere, questo deve dire e fare un grande partito politico. Non è sufficiente partecipare alle elezioni con il dalemiano atteggiamento dell’eterno perdente. La spocchia del perdente.

Dopo Craxi, il primo uomo politico appartenente alla Sinistra che si è posto il problema di vincere le elezioni è stato Matteo Renzi.

In un paese normale il partito sfidante deve carpire gli elettori scontenti al governo uscente.

La situazione italiana era anomala: accadde che il centro-destra, durante l’era di Berlusconi, sottraesse voti alla Sinistra, ma non capitava viceversa.

La Sinistra, poi, si impegnò in una sorta di cannibalizzazione interna: la Sinistra più a sinistra pensò che fosse conveniente scippare i voti al PD. Questioni di pseudo-ortodossia, nostalgie per un socialismo reale mai vissuto? Magari!

La Sinistra, invece, si trovò tra i piedi un poeta-predicatore con la zeppola, politicamente inquieto, ex-FGCI, ex-PCI, ex-Rifondazionista.

Le improvvisazioni poetiche di Niki Vendola erano letterine a Babbo Natale, semplici e banali, che apparivano chissache per la ridondanza verbale. L’arte di dire «sì» con duecento parole.

Ecco un esempio della profondità di Vendola:

«Vi dico due parole importanti: “Sinistra” che significa la casa dei diritti, che significa accendere le luci sugli angoli del dolore sociale, che significa parlare degli invisibili, di tanta gente smarrita e perduta! E l’altra parola: “Libertà”! Dobbiamo liberare la libertà. Dobbiamo liberarla: ne han fatto un mercimonio, l’hanno sequestrata in un supermarket, l’hanno messa in una prigione: è la libertà dei potenti di fare ciò che credono e ciò che vogliono, di umiliare la giustizia, di umiliare un popolo! Non è questa la libertà! La libertà è un’altra!»

Nel 2013, chiesi ad una mia collega, un tempo elettrice PCI-PdS-DS-PD, per chi avrebbe votato alle politiche:

«Io voto per Niki Vendola», rispose lei con orgoglio

«Scusa. Perché?», feci io perplesso

«Parla così bene», con tono sognante, rapita dal Majakovskij della Murgia

«Ma capisci quello che dice?»

«No, ma che c’entra»

Essere di Sinistra diventò un lavoro debilitante, un atto di dolore:

«mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi» ed anche Niki Vendola. Amen.

Arrivò il 2012 e vidi l’uomo nuovo del PD all’opera, in carne e ossa, Matteo Renzi, durante il confronto con Bersani, Puppato, Vendola e Tabacci, trasmesso da Sky. L’occasione era quella delle Primarie per individuare lo sfidante di Berlusconi e Grillo alle politiche.

Non solo Renzi fu convincente e con idee chiare ma bucò il teleschermo. Una bomba. Che sforzo, si dirà, visto l’istrionismo degli altri!

Per contrastare Berlusconi e Grillo il Centro-Sinistra finalmente aveva l’uomo giusto, un giocatore abile. E apparteneva al mio partito!

Renzi intendeva vincere a qualunque costo per il bene di tutti. Per sconfiggere Berlusconi e Grillo bisogna giocare come loro: o tutti rispettano le regole oppure bisogna attrezzarsi e regolarsi di conseguenza. C’erano in lizza dei giocatori che avrebbero barato anche giocando a Klondike con il cellulare! Pur se Renzi avesse recitato, mentito o barato, non mi interessava nulla.

Passai una notte con un conflitto interiore:

«Renzi è di Sinistra –  Si quasi sempre – Forse sì  – E’abbastanza di Sinistra – Non è Comunista  – Certo che non è comunista – Non deve essere comunista se vuole andare al governo – Sennò chi lo vota – E chi se ne frega se non è comunista  – Nemmeno d’Alema è comunista –  Se d’ Alema è comunista lo sa solamente lui e pure ci crede – I comunisti non esistono più – Nemmeno la Sinistra esiste più – E da tanto tempo  non esiste più – La compagnia della vecchia sinistra non ha nulla da dire ai giovani – Sa solamente deludere i vecchi – Che diventano sempre di men o- Che votano seguendo le consuetudini  – Rottamare sì rottamare – Renzi parla di giovani di anziani di lavoro di scuola di giustizia di equità fiscale – Questa però è roba da sinistra – Non andrà d’accordo con i sindacati – Con la Camusso – Pazienza – Chi se ne frega I sindacati fanno la voce grossa quando non importa – Anche loro ballano i minuetti con i governi e non sono affidabili – Per vincere Berlusconi e Grillo occorre avere la faccia da culo e Renzi ce l’ha  – Un po’ spaccone – Ha voglia di mettersi in mostra ma questo farà bene a tutti – I discorsi di Renzi saranno anche frasi fatte  ma si capiscomo – Con i suoi slogan pensa di rivolgersi ancora ai boy scout – Dalle strisce dei fumetti alla politica – Meglio dei poemi di Vendola – I poemi di Vendola non li capisce nemmeno lui – Certe volte sono prediche – Bersani parla con proverbi di due righe – E poi è un ingastrito con il mondo insieme al Baffetto – E poi fa i duetti con la Ricciarelli – Ma va là – Berlusconi è il re dell’anacoluto – Dovrebbe fare la trasmissione dei pacchi – Grillo starnazza come un’oca e bisogna bipparlo ogni due minuti-  Ed è un fascista – Renzi sa come portare via i voti a Berlusconi – Non fanno mica schifo questi voti se vanno finire dalla parte giusta – Cioè al PD  – Basta dire che Renzi è un populista – Tutti gli altri lo sono – Piuttosto che vinca le elezioni contro Berlusconi e contro Grillo».

E alla fine dei pensieri conclusi:

«Ma sì alla fine Renzi è il meno peggio

Quindi per ora è il migliore

Voterò Renzi».

Ho considerato il voto a Renzi, fin da subito, un buon voto utile. Sapevo che, se Renzi fosse stato il prescelto per la partita di Palazzo Chigi, e se avesse vinto le elezioni politiche, certamente avrei subito delle delusioni. Chi va al governo si scontra con i problemi reali e, quindi, gli ideali – se ve ne sono stati – e le promesse – quelle ci sono sempre – vanno a farsi friggere.

Passata la buriana, finita l’emergenza democratica, cambiate persone e situazioni, avrei valutato i risultati con distacco, senza costrizioni. Finché dura fa verdura, prendere tempo. Quest’è la nuova etica dopo Berlusconi.

Il risultato delle primarie fu deludente per Renzi. Io pensavo, invece, che avrebbe stravinto.

Gli elettori del PD scelsero l’usato sicuro di Bersani. E il risultato delle politiche, come ben sappiamo, fu che il Centro-Sinistra e il Centro-Destra dovettero dividersi le pietanze sbocconcellate dal Movimento Cinque Stelle.

Il mandato esplorativo per costituire il nuovo governo fu affidato al delfino del PD e durò una settimana. Bersani, riuscì a farsi strapazzare ed umiliare da epifanie del Nulla come i due capigruppo del Movimento Cinque stelle, il perspicace Vito Crimi e la simpaticissima Roberta Lombardi. Questo psicodramma si tenne innanzi ad una squallida webcam sfocata, imposta dai grillini per testimoniare la loro trasparenza e il nuovo modo di fare la politica.

Poco dopo, lo Smacchiatore del Giaguaro dichiarò che il mandato esplorativo ebbe esiti «non risolutivi». Seguirono, infine, le dimissioni da segretario.

Dopo Bersani, Renzi riuscì a farsi intronizzare a Segretario del PD. Il sogno inesprimibile di ogni segretario è quello di avere un partito senza correnti e unito. Renzi non voleva vivere di sogni e neutralizzò, rottamò, i Vecchi Apparati, discendenti del Centralismo Democratico da PCI e della DC. Il Nuovo era rappresentato dai giovani fedeli al Segretario, il Vecchio erano d’Alema, Bindi, Bersani & C.

I Rottamandi ovviamente si coalizzarono contro il Rottamatore.

L’obiettivo di Renzi era quello di avere un Partitone forte, autosufficiente, in grado di governare senza l’ausilio e il ricatto dei cosiddetti partitini. Ci stupisce questo ragionamento? E’ un’eresia illegittima? Lo abbiamo detto e lo diciamo tutti che questo è un problema da risolvere.

Ma Renzi non si limitò a questo, guardava oltre.

Il governo Letta ricordava una bietta sotto un tavolo traballante. Pur essendo un ex-democristiano, ho sempre avuto una buona considerazione per Enrico Letta. Simpatico, un aplomb all’inglese. Come presidente di quel Governo era oggettivamente troppo molle, eccessivamente signore per quella cavea parlamentare e, soprattutto, il suo esecutivo era troppo procrastinatore.

Renzi dapprima confermò la fiducia a Letta:

«Enrico, stai sereno»

Dopo qualche settimana, Renzi fece una mossa spregiudicata che lasciò a bocca aperta tutti, inducendo Letta a dimettersi.

E così Renzi diventò Primo Ministro.

Si attribuisce impropriamente a Machiavelli la formula «il fine giustifica i mezzi». Un errore madornale: è di Matteo Renzi.

Trascurando ogni giudizio morale su questa vicenda senza scrupoli, ritengo che l’attivismo di Renzi sia più consono al ruolo di Capo del Governo che non a quello di Segretario di un partito.

Per qualità caratteriali, Renzi non è una persona che possa unificare le correnti ideologiche che percorrono la Sinistra italiana. Chi rottama non unifica, crea livori.

Non dimettersi da Segretario, diventato Capo del Governo, è stato un errore madornale. Aveva troppo potere tra le sue mani.

In qualità di primo ministro diverse cose mi sono piaciute, altre no. Alcune cose sono appartenute alla Sinistra, altre no. Volendo giudicare il Governo di Renzi, si devono, però, rammentare le varie circostanze che l’hanno preceduto e preparato, in particolare, che esso è nato come soluzione ai problemi creati dall’insuccesso elettorale di Pierluigi Bersani e che, per questo, il governo è stato sostenuto da una strana maggioranza. Si può avere un governo di Centro-Sinistra se nel mosaico c’è il partito di Angelino Alfano che reca il nome Nuovo Centrodestra? Suvvia!

Si sarebbe dovuto ricorrere alla volontà degli elettori, ma questa eventualità non è stata ritenuta praticabile perché si è temuta, e si teme, l’esplosione del Movimento Cinque Stelle e della Lega Nord di Matteo Salvini.

Trasformare il referendum costituzionale in consultazione per trovare consenso nel paese ed esibire il risultato al fine di zittire la potente minoranza all’interno del Partito Democratico, ha costituito il secondo errore madornale di Matteo Renzi. Dalle mie parti si direbbe che questo è «tirare nel pero per prendere nel melo», arte che accomuna i giocatori di biliardo e i grandi strateghi.

Alla fine, il machiavellico Renzi si è stranamente dimostrato solo un ingenuo e cattivo giocatore di flipper. Non riuscendo a ficcare la pallina nel foro, mostrò una strana propensione per la roulette russa: trasformò il referendum costituzionale in un referendum personale smarrendo il significato profondo dell’importante consultazione. Ed estenuando gli elettori.

Ai Rottamati, al Centro-Destra, al Movimento Cinque Stelle, ai Sindacati, a molte Associazioni, tutto questo non parve vero, e pure loro tirarono nel pero per colpire il melo: salvando l’integrità della Costituzione, avrebbero mandato a casa Renzi.

Durante le settimane pre-elettorali parve chiaro che Renzi era più pericoloso dei vecchi comunisti, che condizionava la Democrazia e la Libertà.

Renzi, personaggio pericoloso quanto il Cavalier Benito Mussolini. Il referendum come Ultimo Gran Consiglio. La resa dei conti.

Si delineò il nuovo spauracchio, il Fattore R. Il Fattore Renzi anziché il Fattore Kommunizm.

Molto meglio trattare con Berlusconi…quello almeno è un vecchio che si accontenta di qualche donna a pagamento, della prescrizione di qualche processo, di qualche leggina birbona e riga. Mica fa il padre della patria!

Nonostante il Fattore R, il risultato a favore del Presidente del Consiglio si attestò al quaranta per cento. Ma questa percentuale corrispondeva esattamente ai voti che il PD conquistò in occasione delle elezioni europee con l’apporto dei rottamati! E fu considerato, all’unanimità, un successone. Dovettero ammetterlo, con il mal di denti, pure d’Alema e Bersani.

Il quaranta per cento dei voti, secondo il segretario tutti voti a favore della sua politica e della persona, corrispondeva a un bel partito! Quello era il suo partito.

Renzi mantenne la parola e rassegnò le dimissioni dal Governo ma non mollò il PD: pensava di andare alle elezioni e fare incetta di voti dopo un veloce congresso del Partito.

Ma la minoranza nicchiò. Si sarebbe rischiato di vincere.

Iniziarono giorni di psicodrammi, questioni senza senso per la maggior parte delle persone: se Renzi avesse detto bianco gli altri avrebbero detto nero, se Renzi avesse detto nero allora sarebbe stato bianco.

Il Partito Democratico finalmente era allo sbando.

Un’agonia.

Nelle ultime settimane abbiamo assistito alla creazione di un nuovo movimento. Il Partito Democratico si è scisso.

Divide et impera.

Dal caos nasce il nuovo ordine.

Magari senza Renzi.

Così sperano i burattinai del Fattore R.

Il fattore K e gli utili idioti (Fine)

Berlusconi per svariati anni tramutò in oro tutto ciò che toccava, come re Mida. E scansava guai giudiziari.

Uomo assai generoso, non pensava unicamente a sé ma anche a chi gli orbitava intorno, consociati e associati, puttane e puttanieri.

Si sa che, vicino al Sole, ci si scalda un po’ tutti.

Il prodigo ex Cavaliere recapitò particolari pacchi-dono pure a chi stava lontano da lui, ai suoi oppositori nel Paese: il regalo agli elettori che non lo gradivano fu che influenzò e sfiancò, con la sua discesa in politica e l’ attività di governo,  la Sinistra.Se la Sinistra nella Seconda Repubblica da tempo non è più di sinistra, almeno rispetto alle classiche categorie di qualche decennio fa, è stato anche un merito di Berlusconi.

Non espressioni di nuove idee post-comuniste, i DS e il PD nacquero per arginare il torrenziale ex Cavaliere. Questi partiti sono stati degli accordi elettorali che hanno rincorso Berlusconi senza una propria strategia, un’identità, una linea politica coerente e convincente.

Tutti abbiamo visto questa mutazione, seduti a casa sulle nostre poltrone, guardando gli infernali talk-show colonizzati da politici vociferanti. La politica in televisione, con Berlusconi, si è indubbiamente ravvivata…ma a quale prezzo!

Con faccia di tolla, i peones del Centro-Destra effettuavano incredibili ribaltoni ideologici in diretta. Gli storici valori venivano travisati: quel che una volta apparteneva alla Sinistra diventava di Destra e viceversa. I veri progressisti, coloro che desideravano veramente il cambiamento e il benessere del popolo, stavano con l’ex Cavaliere. Un colpo di scena. La Sinistra significava sostenere le purghe staliniste e i gulag. I Comunisti erano dei reazionari che si opponevano ad ogni forma di cambiamento.

Insomma, uno zibaldone politico e culturale.

Cultura? Ma mi facci il piacere!

A proposito di popolo. Questa è una bellissima parola che odio nell’uso televisivo. C’è un popolo per ogni occasione, stagione e gusto, il popolo dei vacanzieri, il popolo di sinistra, il popolo di destra, il popolo delle partite IVA, il popolo di qua, il popolo di là…

Ed odio i politici, specialmente quelli di destra, allorché attribuiscono al popolo pensieri, orientamenti, paure e sentimenti collettivi secondo il proprio tornaconto.

Durante la Seconda Repubblica, i talk-show, i telegiornali, diventati palcoscenici per esibire i problemi giudiziari e le innumerevoli marachelle, pubbliche e private, di Silvio Berlusconi, ci hanno dato dei tormenti senza fine. Le questioni personali intrecciate indissolubilmente a quelle pubbliche riguardarono l’intero paese e lo bloccarono dinnanzi ai teleschermi.

I minus habentes del Centro-Destra, per giustificare le azioni del Capo, il padrone del partito-azienda, hanno strologato un campionario infinito di incredibili sofismi, fesserie e minchionerie senza pudore. Raffiche di stupidaggini ci lasciavano a bocca aperta e offendevano la nostra intelligenza. Nonostante questo, tanta gente rimaneva impigliata nelle reti del Centro-Destra. Credeva o voleva credere a questo branco di utili idioti. Ogni cosa veniva trasformata nel suo contrario secondo la tecnica consumata del ribaltamento della frittata, inducendo i politici di Centro-Sinistra a discutere all’infinito, dinanzi alle telecamere, su questioni che, se non avessero avuto il potente Capo del Governo come protagonista, si sarebbero potute liquidare in pochi istanti utilizzando un poco di buonsenso e di etica. Battibecchi, bizantinismi urlati tra i peones del Popolo della Libertà – l’ennesimo riciclo berlusconiano – e gli uomini del Centro-Sinistra inondavano, così, i talk-show politici fino alla nausea.

E qualche meschino, alzando gli occhi al cielo, avrà trovato conforto nella religione:

«Signore, perché ci hai abbandonato?»

E qualcun altro, guardando il cielo:

«Per tua infinita bontà ce l’hai mandato su questa Terra, ma ora…riprenditelo!»

Ogni battuta, ogni legge, ogni erezione, ogni processo, ogni gesto, ogni puttana, ogni scandalo dell’ex Cavaliere, tutto veniva commentato facendo la fortuna di conduttori televisivi e, soprattutto, quella di comici efficaci ed acuti come Corrado Guzzanti e Maurizio Crozza, più liberi di tanti commentatori politici.

Essere l’onnipresente protagonista di monologhi satirici, secondo Aristotele, non sarebbe dovuto essere un motivo di gran vanto per Berlusconi: «la commedia è…imitazione di persone che valgono meno». Ed ancora, «il ridicolo è…un errore e una bruttezza indolore e che non reca danno, proprio come la maschera comica è qualcosa di brutto e di stravolto senza sofferenza».

Questa saggezza antica mi piace.

Ipse dixit.

I comici incominciarono a menare schiaffi anche sulla facce della permalosetta Sinistra, sempre poco incline a essere scrutata dalla lente irriverente della satira. Gli ex-compagni non sono mai stati fonte di grande ispirazione per qualche risata essendo persone costituzionalmente pedanti. Abbiamo visto un po’ di satira su d’Alema, Bertinotti e Prodi. Persone poco estrose rispetto a quel ganassa di Berlusconi. Far sorridere con Letta, la Finocchiaro, Speranza sarebbe un’azione da supereroe.

Durante le elezioni del 2013, invece, qualcosa si mosse: nacque uno strano connubio tra la Sinistra e la satira politica.

Si tennero le elezioni primarie del PD. Il segretario Pierluigi Bersani venne designato come candidato che avrebbe dovuto contrastare Berlusconi. Viste le macerie lasciate dal Centro-Destra non affatto sgombrate dal Governo di Mario Monti voluto dal Presidente Napolitano, era necessario che Bersani vincesse le elezioni.

Pareva un compitino facile facile dal momento che quest’uomo mandato dal cielo trasudava noiosa onestà emiliana da tutti i pori.

Costantemente accigliato, Bersani aveva toni burberi come l’Onorevole Peppone ed esprimeva la sua strategia politica con brevi e curiose metafore, quasi proverbi, dal sentore di stallatico, discendenti di un’antica saggezza contadina. Roba da calendario di Frate Indovino.

Io temevo sempre di non capire queste metafore fino in fondo. Poi capii che, per capirle, non occorreva capire niente:  la politica spiegata al popolino si fondava sul nulla.

Queste metafore da Bar Sport della Bassa, va da sé, non passarono inosservate. Ben presto diventarono pane caldo e croccante sotto i denti di un ottimo comico genovese, Maurizio Crozza, che diede vita ad una efficace imitazione del delfino del Centro-Sinistra, ridicolizzandone la retorica strapaesana.

La politica raramente mi stupisce, ma in questa occasione ci riuscì: in totale assenza di idee efficaci, anzi in mancanza di ogni idea, il futuro presidente del consiglio della nazione italiana iniziò ad imitare l’imitazione di un comico che lo imitava. Un’antinomia!

E fu così che Bersani si ispirò ai siparietti comici di Crozza:

«Ancora sette giorni e lo smacchiamo noi il giaguaro».

Noi elettori di centrosinistra fummo presi da vampate di entusiasmo e in coro gridammo «avanti, o popolo, alla riscossa»!

«Questo sì che è il nostro uomo del destino! Questa sì che è una vera gioiosa macchina da guerra!»

Pareva di ascoltare la Signora Coriandoli. Roba da matti.

Meno male che Crozza diede questo spunto perché la propaganda elettorale di Bersani, per dirla con un neologismo, fu veramente apallica e, contemporaneamente, piena di supponenza. Perché impegnarsi quando nel karma del Centro-Sinistra stava scritto che il Giaguaro sarebbe diventato più bianco del bianco?

«Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole» e più non domandatemi, sembrava voler dire l’onesto Bersani, indicando il cielo con l’indice.

Per le elezioni del 2013, un altro comico aveva in pentola progetti assai ambiziosi.

Quella del comico è una vita assai più faticosa rispetto a quella di un attore serio. L’arte del suscitare il riso è benedetta, ma difficile. Una franca risata, con il suo benessere, costituisce una chiave preziosa per arrivare al cuore delle persone più efficace del pianto. Chi suscita il riso ha, quindi, un grande potere  e riesce a veicolare importanti contenuti. Il comico può influenzare quanto uno psicologo.

Beppe Grillo, comico genovese non tanto bravo quanto abile – carpiva lo stile irresistibile e l’ efficace mimica di un grande attore suo concittadino, Gilberto Govi – costruì un impero e un partito sulla caracollante politica italiana.

Ebbe vita facile. Con i nostri politici si sarebbe arricchito perfino un attore del cinema muto.

Fin da quando apparve in trasmissioni di grande popolarità, agli inizi degli anni ’80, l’ho sempre guardato con diffidenza perché non riuscivo a capirne la matrice ideologica.

«Beppe Grillo – mi chiedevo – è di sinistra o di destra? Da che parte sta?»

Il sincretismo ideologico non mi piace, nemmeno da un comico.

Dai potenti è stata sempre lasciata ai giullari una certa libertà di parola, Castigat ridendo mores.

Una volta, però, Beppe Grillo pronunciò pesanti illazioni sui socialisti che si dimostrarono veritiere qualche anno dopo. Bettino Craxi non le gradì. Il comico fu scacciato dalla Rai e seguirono anni di damnatio memoriae. Da proscritto prese a girare per teatri. La gente, scontenta per tutto quel che accadeva nel Paese, accorreva a frotte ai suoi ambigui monologhi e dava credito alle parole del comico facendosi suggestionare politicamente. Il pubblico andava in visibilio allorché sentiva criticare ferocemente tutto e tutti. Talora rivelava in anteprima notizie che poi avrebbero avuto rilevanza giudiziaria e risonanza nazionale, come il caso Parmalat. Chi fornì a Grillò quelle notizie riservate? I misteri gloriosi di Grillo.

Ai miei tempi si diceva che tutto è politica, parafrasi delle parole, «l’uomo è un animale politico». Ancora Aristotele! Con i suoi spettacoli, pareva evidente che Grillo facesse politica attiva.

Giunti i tempi di Internet, il comico genovese progettò un blog che amplificava la critica allo status quo e fidelizzava gli scontenti intorno a sé. Spacciava quello spazio informatico come l’unico luogo della verità. La Casa della Verità.

Internet, il nuovo Eldorado della libertà di pensiero.

Internet, un altro facile mito da osservare con occhio critico.

Un ragguardevole bacino di persone, composto sia dal pubblico fedele dei teatri che dagli utenti del blog, orbitava intorno a Grillo. Era un uomo contro il sistema ma  che poteva piacere a tutti, dall’estrema sinistra fino all’estrema destra.

Grillo, comico e politico, sfruttava forme apparentemente nuove di comunicazione e di dialogo con la gente ma, di fatto, seguiva il solco tracciato da Berlusconi. Utilizzava solamente una nuova tecnologia.

L’8 settembre 2007 io e la Bruna eravamo in Piazza Maggiore per assistere al V-Day. Ci dicemmo:

«Dai, qualche risata alle spalle di Berlusconi e d’Alema ce la faremo». Lo considerammo uno spettacolo gratis et amore Dei. A Bologna si dice anche «a gratis».

Quell’assolato sabato di protesta ci permise, invece, di toccare con mano quanto avesse attecchito il nuovo movimento-partito in una città tradizionalmente di sinistra, apparentemente refrattaria a personaggi di questo tipo, seppur, da tempo, in crisi politica. A quella di Bologna, si unirono le piazze di tante altre città.

Molta gente ovunque.

Ritornando a casa, io e la Bruna capimmo che mai Grillo si sarebbe beccato il nostro voto. La Bruna però, politicamente assai più lungimirante di me, come già dimostrò ai tempi di Berlusconi, previde che il comico genovese avrebbe fatto vedere i sorci verdi a tutti. La Bruna è meglio di tutti i sondaggi ed exit poll.

Quel grande raduno divenne una conta per un nuovo partito.

Il nuovo partito si poteva fare e si fece. Arrivò il Movimento Cinque Stelle, fondato dal comico genovese e da un certo carneade milanese, l’imprenditore Gianroberto Casaleggio. Carneade! Chi era costui?

Il Movimento Cinque Stelle si dimostrò essere l’ennesimo specchio per le allodole.

E’il partito dallo smartphone in mano, il movimento del click su «mi piace» e «non mi piace», delle idee che non devono occupare più di centosessanta caratteri. Anzi meglio esprimere le idee con gli emoticon, si fa prima.

A parole, le decisioni politiche vengono prese dagli iscritti al blog con consultazioni on-line. Sarebbe questa una nuova forma di democrazia proveniente dal basso, ma i risultati possono essere rivoltati dai padroni del Movimento se non paiono conformi ai criteri che lo regolano.

Chi controlla queste consultazioni? Chi attesta che esse siano esenti da pressioni, che i risultati rispettino la libera coscienza dei votanti?

Esiste un garante? Certamente.

E’ Beppe Grillo!

Meglio i foglietti strappati da un notes, segnati con un lapis e buttati in una cesta di vimini. I risultati sono più certi e democratici, sentite a me!

Un ex socio del carneade Casaleggio ha detto che:

«La parte ideologicamente più preparata mi sembra che sia quella di Casaleggio, Grillo è un megafono che ripropone delle elaborazioni che non necessariamente gli appartengono». Affermazioni che suscitano perplessità.

Il Movimento Cinque Stelle iniziò la sua corsa con le elezioni amministrative, erodendo voti sia a destra che a sinistra. I grillini ebbero propri sindaci, assessori, consiglieri nei Comuni ed anche rappresentanti nei consigli regionali.

Nel 2013, alle elezioni politiche, il nuovo partito fece il botto: in numeri assoluti di schede votate, quello di Grillo era il secondo partito italiano! Emorragie di voti di elettori scontenti, di italiani privi di bussola, di quelli che ormai dicevano «tanto peggio, tanto meglio», si trasfusero dai partiti politici conosciuti ai Cinque Stelle.

La coalizione di Centro-Sinistra superò quella di Centro-Destra per appena centoventiseimila voti. I magheggi del Porcellum di Roberto Calderoli elargirono un consistente premio di maggioranza al Centro-Sinistra. Dono della Provvidenza immeritato. I regali vanno a chi se li merita e non a questo imbelle Centro-Sinistra.

Al Senato il Porcellum produsse un risultato contraddittorio rispetto a quello della Camera: la distribuzione dei seggi non permetteva di avere alcuna maggioranza. Non c’era alcun vincitore. Una torta divisa in tre fette.

Bersani, lo Smacchiatore del Giaguaro, ebbe il coraggio di dichiarare:

«Siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto».

Non ennesima metafora, ma brutto eufemismo di una deludente realtà.

Cos’hanno fatto di male gli elettori del Centro-Sinistra per meritarsi queste teste di…politici?

Nel giro di poche settimane fu proprio lo Smacchiatore del Giaguaro ad essere candeggiato sia da Berlusconi che da Grillo. Bersani non riuscì nemmeno a fare eleggere Romano Prodi come Presidente della Repubblica.

Dopo aver perso tutto quel che si poteva perdere ovvero, in slang bersaniano, dopo non aver vinto tutto ciò che si era potuto non vincere, il segretario del PD finalmente si dimise. In conformità con l’ inflessibile Fattore K, essendo Bersani un ex-comunista.

Ed Enrico Letta, ex-democristiano, fu il nuovo Presidente del Consiglio.

(Fine)

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