Il fattore K e l’uomo in ammollo (Parte sesta)

In qualsiasi Democrazia, perché una legge possa essere approvata, i Governi devono ottenere, il non sempre scontato bottino del cinquanta per cento più uno dei voti. Il sistema politico italiano, avendo due assemblee legislative con le stesse funzioni, la Camera dei deputati e il Senato, ogni legge, per essere approvata, ha da ottenere la maggioranza almeno per due volte.

Il Bel Paese, fino al 1993, si fondava su una Legge elettorale di tipo proporzionale cioè, in parole assai povere, una legge che a tanti voti attribuiti dagli elettori a ciascun partito corrispondevano percentualmente, in Parlamento, più o meno, tanti deputati o tanti senatori.

I partiti, per partorire un governo, di norma, devono aggregarsi ovvero, come si dice generalmente, si devono «coalizzare». Solo la Democrazia Cristiana, eterno primo partito di governo per quasi cinquant’anni, eternamente nel cuore degli italiani, valida ausiliatrice del Fattore K, prima degli anni Settanta, provò l’ebbrezza di costituire dei governi monocolore.

Quando questo spesso non fosse stato possibile, la DC si coalizzava con partiti e partitini a lei affini, a turno il Partito Repubblicano, il Partito Liberale, il Partito Socialdemocratico, Il Partito Socialista Italiano. Si alleò finanche con il Partito Monarchico Italiano e il Movimento Sociale Italiano, ricetto di nostalgici del Ventennio e di repubblichini.

Succedeva che, pur disponendo di asso, tre e re, i democristiani spesso perdessero la partita all’ultima mano per una briscoletta svestita mal giocata dagli alleati, magari buttata sul tavolo per mettere in difficoltà, condizionare, il partito di Sturzo e De Gasperi, o perché il grande partito si era incartato. I partitini riuscivano spesso a ottenere tanto con poco, a dispetto di ogni corrispondenza e proporzionalità con il loro reale peso elettorale.

Le scontate compresenze nel medesimo governo erano regolate, tanto per non scontentare nessuno, da complessi, rimuneratori, equilibri di potere e assegnazioni di poltrone. Questo approccio, fatto di opportunismo politico e di regole empiriche, ebbe il nome giornalistico di Manuale Cencelli , dal suo presunto ideatore, il politico democristiano Emanuele Cencelli.

Craxi sovvertì il gioco del Governo, dalla Briscola si passò a quello degli Scacchi: il PSI, terzo partito, alfiere della sinistra, mise sotto scacco il Re bianco, la DC, e diventò Capo del Governo. Craxi giocò meglio di Boris Spassky e Bobby Fischer messi insieme.

Dopo la bufera dei processi di Mani Pulite, con il referendum promosso, tanto per cambiare, dai Radicali, gli italiani si espressero nel 1993 ampiamente a favore di un Senato eletto secondo un sistema maggioritario. Il popolo italiano dimostrò, insomma, di gradire un sistema elettorale che, con un premio di maggioranza, assicurasse la stabilità del governo.

Il Mattarellum fu la Legge Elettorale che venne alla luce nel 1994 come risposta dei partiti a questa nuova richiesta degli italiani. Approvata da una strana maggioranza composta da DC, PSI, PSDI ed anche Lega Nord, con il contributo dell’astensione del PdS e del Partito Radicale, la nuova Legge prese nome dal suo relatore, un democristiano, l’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

La legge non soddisfaceva completamente le recenti pulsioni maggioritarie perché mischiava il nuovo e il vecchio – secondo una complessa calibrazione – il maggioritario e il proporzionale. Era, comunque, qualcosa di nuovo e marcò l’inizio di una nuova epoca: la cosiddetta Seconda Repubblica seguì, infatti, dopo questa legge.

Il Mattarellum rimase in vigore fino al 2005 per tre legislature che espressero importanti governi, il Berlusconi I, il Dini, il Prodi I, i d’Alema I e II, l’Amato e i Berlusconi II e III, dopodiché, nel 2005, si passò al Porcellum di Calderoli, la legge porcata.

Giunsero le elezioni del 1994 e per la prima volta si videro gli effetti del Mattarellum i partiti si presentarono in duplice veste: ognuno correva per sé, relativamente alla quota proporzionale, e contemporaneamente si legavano tra di loro, raggruppati in liste, per la quota maggioritaria.

L’aggregazione del centro-destra fu veloce e naturale avendo in Silvio Berlusconi motore, cemento, combustibile e, last but not least, finanziatore. La nuova Sirena politica costruì un partito non partito, ovvero un movimento che poteva raccogliere chiunque. Forza Italia, infatti, partito-azienda deideologizzato, brandiva l’anticomunismo come clava propagandistica ed allettava i numerosi creduloni con fole del buon governo e la diligenza del buon padre di famiglia. Con il passar del tempo, Forza Italia si organizzò club. Club e non sezioni di partito.

Denominazione che pareva una gran figata.

Che avvenne a sinistra nel ’94? In verità, non ricordo molto della campagna elettorale del centro-sinistra. Solo che tutti davano il centro-sinistra come vincente ma l’incisività dell’azione di Occhetto e della formazione elettorale di sinistra, l’Alleanza dei progressisti, convinse talmente gli elettori che diedero il voto altrove. Anche alla Lega Nord. Un nuovo sgambetto del Fattore K?

La sconfitta elettorale ebbe l’effetto benefico di far dimettere il cordialmente simpatico, quanto politicamente, inefficace Occhetto. I grandi elettori del PdS dovettero scegliere il nuovo segretario tra due teste coronate della politica italiane, Massimo d’Alema e Walter Veltroni. Entrambi facevano a gara a scolorare con il detersivo quel po’ di rosso che rimaneva nel partito.

Per lavare, risciacquare e centrifugare il PdS, la scelta ricadde su d’Alema.

L’uomo che candeggiò il PdS e tolse le macchie di pomodoro dalle bandiere.

(Continua)

Il fattore K e mia madre (Parte quinta)

Nel 1998, mesi prima delle dimissioni del primo governo di Romano Prodi, il PdS perse ogni richiamo al comunismo trasformandosi nei DS. La Cosa 2, nuovo partito social-democratico accoglieva l’ex PdS, un gruppo di ex socialisti dal cuore ancora palpitante a sinistra, dai cristiano-sociali e da qualche ex repubblicano. Poiché simboli ed emblemi rappresentano, sintetizzano idee e significati, si dileguarono la falce e il martello ai piedi della quercia, lasciando il posto ad una rosa solitaria,

Le rose sono tanto belle ma recano spine.

I guai del centro-sinistra si ingrossarono con il successore del Professore, cioè quell’altra grande testa della politica italiana che è Massimo d’Alema, segretario dei neo DS ed efficace Presidente della Commissione Bilaterale dopo il Patto della Crostata. Con lui il Fattore K si sfogò appieno essendo stato a capo di due governi, l’uno dopo l’altro, per appena diciotto mesi e sei giorni in tutto. Le definitive dimissioni trovarono causa nell’insuccesso dei DS alle elezioni regionali del 2000. Dimissioni politicamente non dovute, certamente gradite a molti sostenitori del centro-sinistra, tra i quali mi ritrovavo anch’io.

Ma perché il Fattore K si accanì in tal maniera contro il simpatico Baffetto? E’ forse mai stato comunista?

I guai del centro-sinistra non finirono qua: nel 2001 seguirono le elezioni politiche e furono stravinte da Berlusconi. Non poteva che finire così, poiché l’ex Cavaliere si trovò a competere contro Francesco Rutelli, una delle tante incarnazioni del Nulla. Fu come se il Milan si fosse trovato a giocare contro il Casalecchio di Reno.

La Bruna, sempre tranchant nei suoi giudizi politici, proposito della corsa verso l’abisso del centro-sinistra, aveva idee ben precise. Avvenne che, nel settembre del 2003, io e mammà ci recassimo alla Festa Nazionale dell’Unità. Avevamo bisogno di vedere nostri consimili, cioè altre persone che non avessero votato per Berlusconi solamente a parole. Parlando in giro, nessuno gli aveva dato il voto, eppure il Venditore, l’Illusionista, arrivò primo.

Quella sera, la cosa più interessante fu un’ottima cassata siciliana – me ne mangiai due fette – fino a quando la Bruna non ravvivò il clima.

Lo stand delle conferenze ospitava Fausto Bertinotti con il suo astuccio da collo e il baffuto Fabio Mussi. Sedemmo nella non gremita platea ed ascoltammo le vacue parole dei due. L’incontro terminò e diverse persone si avvicinarono al palco per stringere la mano ai due politici.

La Bruna, a quel punto, mi chiese:

«Posso andare a parlare con Bertinotti?»

«Boh, fai quello che vuoi», feci io decidendo di lasciare Bertinotti al proprio destino.

Mammà si mise in fila ordinatamente e, arrivato il suo momento, si trovò a faccia a faccia con lui, la causa di ogni male italiano.

L’aria serafica del comunista da salotto svanì in un batter d’occhio allorché la Bruna, con il dito puntato e tono accigliato, gli disse:

«Se abbiamo quella me..a al governo è tutta colpa sua! Si deve solo vergognare per quello che ha fatto. Dovete rimanere uniti se vogliamo vincere le elezioni!»

Il radical-chic sbiancò e si defilò tacendo.

La Bruna quindi rivolse verso il divertito Mussi:

«Ma insomma, mettetevi d’accordo…mi raccomando. E lei lo controlli!», indicando lo sbiancato Bertinotti.

E Mussi, sorridendo:

«Ci proverò, signora»

Tutto questo avvenne cinque anni dopo l’autolesionistico sgambetto al Professore. Costituì per la Bruna l’opportunità di manifestare il proprio pensiero in faccia a colui che riteneva esserne il responsabile del soffocante disastro politico e sociale che in quegli anni incominciammo a subire.

La Bruna si sentì vendicata.

La vendetta è un piatto che si serve freddo.

(Continua)

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