Il fattore K e il Curato da Bologna (Parte settima)

La Lega Nord si assunse la benemerita responsabilità di togliere la fiducia al Berlusconi I. Gliene fummo tutti grati. Al Senatùr sembrò  improvvisamente che il suo datore di lavoro non avesse più un gran aplomb morale. In vita mia, ho battuto le mani a Bossi una volta sola. Questa.

«Mai più con Bossi!», giurava e spergiurava uno.

«Mai più con Berlusconi!», spergiurava e giurava l’altro.

Seguirono cinque anni di litigi fitti tra i due e poi, nel 2001 – la politica è un dedalo di contraddizioni e mangiamenti di parola – l’ex Cavaliere ri-assunse il Senatùr nel suo progetto di partito-impresa. Di nuovo insieme, come i ladri di Pisa.

Dopo il Berlusconi I, seguì il governo tecnico di Lamberto Dini, già Ministro delle Finanze nel governo precedente, governo di centro-destra. E il mio partito di allora, il PdS, cioè il Partito della Sinistra già aggregatosi nell’Ulivo, sostenne questo bellimbusto. Con la faccenda del senso di responsabilità gli elettori di centro-sinistra hanno inghiottito anche questo brutto rospo. Vedendo la parabola di Dini in Parlamento, direi che si sia dimostrato un politico perlomeno double face.

Anche Dini rassegnò le dimissioni.

E si tennero le famose e storiche elezioni del 1996.

La Sinistra ha sempre sottovalutato la forza personale, politica, economica dell’ex Cavaliere e, soprattutto, la presa che aveva su buona parte del Paese. Sapeva convincere le persone semplici, ma…se le persone semplici votanti sono tante, facilmente si ottiene la maggioranza in Parlamento.

Per le elezioni del ’96, la Sinistra vinse la propria snobberia nei confronti del «più grande piazzista del mondo», come scrisse Indro Montanelli, organizzandosi per tempo poiché non doveva accadere che Berlusconi vincesse per una seconda volta.

Un altro ex bolscevico per la corsa al soglio di Capo del Governo? No, il Belpaese era impreparato e questo avrebbe generato un nuovo buco nell’acqua: gli italiani non erano stati mollati dal Fattore K, nonostante la rassicurante presenza del nuovo segretario del PdS, Massimo d’Alema, abile timoniere con la bussola orientata verso la socialdemocrazia europea.

Si pensò di affidare il «gran cimento» a un democristiano mai iscritto alla DC, Romano Prodi, bolognese solo per adozione perché nato a Scandiano, paese natale di  Matteo Maria Boiardo.

Tutti i post-comunisti avranno emesso ciangottii disorientati:

«Ma come? Votare un democristiano? Siamo di sinistra oppure…»

Qualcuno dei frastornati elettori di sinistra trovò rassegnata consolazione pensando che Gesù Cristo fosse il primo comunista della storia.

Se Berlusconi era un demone proteiforme, il Professor Prodi pareva un curato di campagna in grado di pronunciare efficaci esorcismi per scacciarne la presenza maligna.

Dopo l’affaire di Mani Pulite, parevano opportune nuove formazioni politiche che non richiamassero esplicitamente alcun vecchio partito, almeno di primo acchito.

Il Curato proveniente da Bologna creò un nuovo soggetto politico, L’Ulivo, un accordo, una coalizione di governo dal bel nome, semplice, luminoso, sereno, evocativo di lontane suggestioni mediterranee, la Magna Grecia, gli albori della democrazia. Un buon inizio. Con esso si voleva esprimere un messaggio preciso: «noi siamo brava gente, noi siamo diversi, noi abbiamo antiche radici, noi portiamo la pace vogliamo unire il paese».

L’Ulivo si trovava a sfidare il Polo per le Libertà, formazione di centro-destra orbitante intorno all’Illusionista. Denominazione assai lontana dalla tersa semplicità dell’Ulivo.

Libertà. Che bella parola! La libertà è la condizione di essere libero. L’opposto della costrizione e della coercizione.

«La Libertà» rappresenta anche un’idea, una categoria dell’Essere e dell’Etica. Se declinata al plurale, «le Libertà», la parola perde, allora, d’astrattezza e descrive la vita reale. Il plurale ci suggerisce che vi sono tante libertà, libertà di parola, libertà di pensiero, libertà di religione e così via.

E Benedetto Croce chiosò scrivendo che «La libertà al singolare esiste soltanto nelle libertà al plurale».

Libertà, bella parola se viene proferita dalla bocca giusta.

Che intendeva richiamare il Centro-Destra con questa denominazione? Le libertà costituzionali? Macché, nulla di tutto questo…magari.

Il Polo per le Libertà evocava, come in una seduta spiritica, fantasmi, la privazione della libertà che derivava dal Comunismo e dai comunisti, sfruttandone le paure che tutto questo ancora generava. La nuova formazione politica non poteva certamente ergersi a baluardo contro tutte le dittature e di tutti regimi autoritari, il fascismo, perché sotto l’ombrello del Polo per le Libertà stavano, appunto, anche i preziosi discendenti dei fascisti.

Ancora il Fattore K. Per dividere.

Secondo i sondaggi pareva che la Sinistra non ce la potesse fare.

Don Romano da Bologna si rimboccò la tonaca. Non fece comizi. Durante il 1995, viaggiò per la penisola in lungo e in largo su di un pullman esibendo la rassicurante faccia paciosa.

«Comunista io? Ma guardatemi bene», sembrava voler dire.

Ascoltò, parlò con le persone e ne strinse le mani perché alla gente piace avere un contatto diretto con i notabili.

La propaganda elettorale dalle piazze si spostò in televisione. Durante queste elezioni iniziò la stagione, non ancora trascorsa, della politica nei talk-show. Ci fu perfino lo spazio per due «faccia a faccia», come suggeriva il nuovo sistema elettorale pseudo-maggioritario, tanto per sentirci un poco americani. E il buon Romano, dal punto dell’efficacia televisiva, funzionava egregiamente quanto l’ex Cavaliere.

Come andarono le elezioni? Rispondo storpiando il famoso motto di Machiavelli, cioè la fine giustifica i mezzi: vinse il Centro-Sinistra, per meglio dire, Berlusconi non ebbe il Governo. La maggioranza alla Camera dei Deputati era, però, assai risicata, solo sette voti in più, con l’appoggio esterno di Rifondazione Comunista derivante dai lungimiranti patti pre-elettorali tra Prodi e la coppia Bertinotti-Cossutta.

La vittoria del Centro-Sinistra fu una conseguenza del Mattarellum e, soprattutto, dell’incomprensibile miopia tattica di Bossi, che decise di far correre la Lega da sola.

La bomba di Berlusconi fu deviata da una casuale folata di vento e non disinnescata dalla forza politica della parte sfidante.

I voti reali raccontavano, infatti, un’altro Paese.

La coalizione dell’Ulivo alla Camera dei Deputati ebbe quasi cinquecentomila votanti in meno rispetto al Polo per le Libertà nella quota maggioritaria. Non solo: sommando i voti del Polo per le Libertà e della Lega Nord, il Centro-Destra aveva la maggioranza nel Paese.

Il Fattore K era ancora presente nell’inconscio collettivo degli italiani.

L’ex Cavaliere, da eccellente venditore, conosceva i propri polli e aveva un buon fiuto.

Fatti tutti i conti elettorali, dichiarata la vittoria elettorale del Centro-Sinistra, la sera del 23 aprile 1996 ci fu la festa per L’Ulivo in Piazza Maggiore. Piazza gremita di gente, gente che intravvedeva un nuovo futuro con persone oneste, concordia ed equità sociale.

Arrivò il Curato e impartì la sua benedizione. La Piazza andò in visibilio e tanti piansero di gioia. Pure io e la Bruna.

Avevamo vinto e questo bastava.

Nessuno in quel momento, però, pensò che eravamo nati comunisti e che alla fine dei giorni saremmo diventati tutti democristiani.

Il fattore K e mia madre (Parte quinta)

Nel 1998, mesi prima delle dimissioni del primo governo di Romano Prodi, il PdS perse ogni richiamo al comunismo trasformandosi nei DS. La Cosa 2, nuovo partito social-democratico accoglieva l’ex PdS, un gruppo di ex socialisti dal cuore ancora palpitante a sinistra, dai cristiano-sociali e da qualche ex repubblicano. Poiché simboli ed emblemi rappresentano, sintetizzano idee e significati, si dileguarono la falce e il martello ai piedi della quercia, lasciando il posto ad una rosa solitaria,

Le rose sono tanto belle ma recano spine.

I guai del centro-sinistra si ingrossarono con il successore del Professore, cioè quell’altra grande testa della politica italiana che è Massimo d’Alema, segretario dei neo DS ed efficace Presidente della Commissione Bilaterale dopo il Patto della Crostata. Con lui il Fattore K si sfogò appieno essendo stato a capo di due governi, l’uno dopo l’altro, per appena diciotto mesi e sei giorni in tutto. Le definitive dimissioni trovarono causa nell’insuccesso dei DS alle elezioni regionali del 2000. Dimissioni politicamente non dovute, certamente gradite a molti sostenitori del centro-sinistra, tra i quali mi ritrovavo anch’io.

Ma perché il Fattore K si accanì in tal maniera contro il simpatico Baffetto? E’ forse mai stato comunista?

I guai del centro-sinistra non finirono qua: nel 2001 seguirono le elezioni politiche e furono stravinte da Berlusconi. Non poteva che finire così, poiché l’ex Cavaliere si trovò a competere contro Francesco Rutelli, una delle tante incarnazioni del Nulla. Fu come se il Milan si fosse trovato a giocare contro il Casalecchio di Reno.

La Bruna, sempre tranchant nei suoi giudizi politici, proposito della corsa verso l’abisso del centro-sinistra, aveva idee ben precise. Avvenne che, nel settembre del 2003, io e mammà ci recassimo alla Festa Nazionale dell’Unità. Avevamo bisogno di vedere nostri consimili, cioè altre persone che non avessero votato per Berlusconi solamente a parole. Parlando in giro, nessuno gli aveva dato il voto, eppure il Venditore, l’Illusionista, arrivò primo.

Quella sera, la cosa più interessante fu un’ottima cassata siciliana – me ne mangiai due fette – fino a quando la Bruna non ravvivò il clima.

Lo stand delle conferenze ospitava Fausto Bertinotti con il suo astuccio da collo e il baffuto Fabio Mussi. Sedemmo nella non gremita platea ed ascoltammo le vacue parole dei due. L’incontro terminò e diverse persone si avvicinarono al palco per stringere la mano ai due politici.

La Bruna, a quel punto, mi chiese:

«Posso andare a parlare con Bertinotti?»

«Boh, fai quello che vuoi», feci io decidendo di lasciare Bertinotti al proprio destino.

Mammà si mise in fila ordinatamente e, arrivato il suo momento, si trovò a faccia a faccia con lui, la causa di ogni male italiano.

L’aria serafica del comunista da salotto svanì in un batter d’occhio allorché la Bruna, con il dito puntato e tono accigliato, gli disse:

«Se abbiamo quella me..a al governo è tutta colpa sua! Si deve solo vergognare per quello che ha fatto. Dovete rimanere uniti se vogliamo vincere le elezioni!»

Il radical-chic sbiancò e si defilò tacendo.

La Bruna quindi rivolse verso il divertito Mussi:

«Ma insomma, mettetevi d’accordo…mi raccomando. E lei lo controlli!», indicando lo sbiancato Bertinotti.

E Mussi, sorridendo:

«Ci proverò, signora»

Tutto questo avvenne cinque anni dopo l’autolesionistico sgambetto al Professore. Costituì per la Bruna l’opportunità di manifestare il proprio pensiero in faccia a colui che riteneva esserne il responsabile del soffocante disastro politico e sociale che in quegli anni incominciammo a subire.

La Bruna si sentì vendicata.

La vendetta è un piatto che si serve freddo.

(Continua)

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