Il Tempo e le Anime (A mio padre e a mia madre) – Parte ventottesima

Nella casa di via Galliera dormivo su una turca con zampe di leone, a poca distanza da una poltroncina traballante posta ai piedi del letto dei miei genitori che non serviva per sedersi o per appoggiare gli abiti ma per dare voce concreta agli Spiriti, a cui il Mago, nel buio della notte, sottovoce o con il pensiero rivolgeva dal proprio letto domande sul passato e il presente nascosti, sul futuro delle persone, e anche richiedeva ai suoi famulus invisibili di servirlo a loro favore.
Frequentemente la gente gli esponeva il proprio malessere o dei famigliari; il Mago allora interrogava Papo, medico astrale, dottore di tutto l’Universo:
«Dimmi, Papo quale malattia affligge il signor X? Mi riferisce che tossisce sempre.»
Passavano diversi secondi, durante i quali lo spirito raggiungeva la persona, ne esplorava ogni parte del corpo per individuare la causa del male.
Prima dei cigolii del legno, poi la sedia prendeva a parlare muovendosi: lo Spirito devoto e servente rispose alle domande facendo oscillare la poltrona zoppa sulle assi del pavimento con diciotto “toc” che stavano per la “T” poi diciannove per la “U”.
«Papo, intendi dire tumore?» intuì il Mago, « Il signor X ha un tumore? Se è sì, conferma due colpi forti.»
La sedia confermò:
«TOTÒC»
«Al polmone? Se è sì, conferma due colpi forti»
«TOTÒC»
«A destra, o Papo, oppure a sinistra?»
Seguirono «toc, toc, toc, toc».
«A destra? Al polmone destro?»
«TOTÒC»
«Il signor X si rivolge un buon medico o deve cambiare?»
«Toc, toc, toc»
«Confermi che deve cambiae? Se confermi, dammi due colpi!»
«TOTÒC».
«Seguilo, illuminalo, te lo comando!»
«TOTÒC »
Ma le richieste di servigi rispondevano anche a questioni meno gravi:
«Iodelle, fai che la figlia di Y superi brillantemente l’esame all’università» oppure «Mileh fai che il marito di Z trovi lavoro» oppure «Fai che l’affare del signor K vada a buon fine», ordinava il Mago.
«Dimmi, lo farai? Se accetti, dammi due colpi». E lo spirito, per compiacere il potente padrone, rispondeva e sottoscriveva con due toc.
E al Mago si presentarono dei coniugi che non riuscivano a generare nuova vita. Il Mago comandò a Papo di volare sulla donna e sull’uomo per creare intorno a loro una sottile atmosfera di principi vitali. La pelle dei corpi, dai piedi fino al capo, assorbì gli elementi che mancavano per rimanere gravida o per rinvigorire il seme maschile, quindi raggiunsero il cuore e questo li spinse con il sangue a essere perfondere nelle gonadi inerti. Nulla apparentemente cambiava per qualche settimana, ma tutto era predisposto perché in una notte di luna crescente uno spermatozoo obbediente a un piano arcano fecondasse un ovulo. E trascorsa qualche settimana, dopo aver decretato l’impossibilità di avere figli, l’ostetrica annunciava alla coppia lo stato interessante con un tono che quasi sembrava attribuire il merito a se stessa.
Quando il sonno rendeva gli uomini più vulnerabili e malleabili ai suoi magheggi, il Mago ne modificava la volontà o certo aspetti della psiche ordinando allo Spirito Servente di sdoppiarne le anime: passavano brevi istanti e il Mago aveva dinanzi a sé la copia dell’intima essenza vitale di un uomo o di una donna. Agendo sul doppio dell’anima, modificava i pensieri e correggeva la volontà mentre il corpo a cui essa era legata si trovava in un profondo stato d’assenza della coscienza senza che il soggetto patisse alcuna sofferenza o alcuna sensazione di morte. Agendo sul suo doppio, a capo chino davanti al Mago, umile, deferente, agiva sull’anima e la interrogava per procura, con l’interposizione del ben più energico Spirito Servente poiché il doppio non aveva la forza per muovere la sedia. In pochi istanti, la persona s’appalesava. L’anima confermava o smentiva sospetti, confessava colpe, descriveva l’interiorità dell’uomo dormiente. Se questi avesse avuto in veglia comportamenti detestabili, pericolosi, il Mago ammoniva l’ anima, intimandole di prendere un’altra strada e di rigar dritto; qualora essa non si fosse piegata al volere del Mago, la disobbedienza avrebbe comportato malesseri interiori e fisici. In tal maniera, il Mago correggeva maneschi, ubriaconi, giocatori, violenti, infedeli, fannulloni, viziosi. Per questo ogni notte il Mago vegliava fino al conseguimento dello scopo. La gente non sapeva come il babbo ottenesse il bene sperato, che traevano i benefici attraverso colpi e cigolii di una sedia in movimento nella notte. Solo mia mamma Bruna sapeva ma non doveva diffondere il segreto.
E pure io da allora so.

(Continua)

Il Tempo e le Anime (A mio padre e a mia madre) – Parte ventiseiesima

Il babbo teneva in bella vista sulla scrivania degli arnesi da fabbro e falegname: una morsa da banco per lavorare in grande i metalli, qualche morsetto per lavorarli di fino, una sonora incudine arancione, uno smeriglio rotante e, inframmezzati, chiodi, viti, bulloni, compassi, lime, seghe, pialle, tenaglie, saldatori, pinze, martelli, punzoni, cacciaviti. Un trapano a colonna sovrastava questi oggetti assai inconsueti da trovare in un’abitazione, ancor più su di una scrivania.
Potrebbe esserci bambino non attratto da un simile armamentario? Se qualcuno sia mai esistito, io non fui certamente uno di questi. Con questi aggeggi unti e polverosi avevo un gran daffare: piallavo, tagliavo, affilavo, avvitavo, limavo, segavo, svitavo, smartellavo, foravo, saldavo, smontavo, rimontavo… E mi piaceva martoriare un specie di torta di piombo spessa due dita. E mi piaceva giocare accostando una bella calamita alle limature e oggetti ferro. E quanto mi divertivo generare decine di goccioline di mercurio, contenuto in un flaconcino scuro per poi riottenere la goccia originaria! Lasciavo sempre sul pavimento limatura, segatura e il tavolo in confusione! La mamma, riordinando, spazzando il pavimento, si arrabbiava con il babbo che orgogliosamente giustificava tutto questo perché giocavo a fare l’uomo.
Con gli stessi attrezzi il Mago invece esercitava un’arte senza pari. Come Michelangelo traeva dal grezzo marmo magnifiche forme utilizzando umili mazze e scalpelli, così il Mago creava con metalli, pergamene, chine colorate, e particolari sostanze dei talismani che arrecavano salute, ricchezza e amore.
Terminati i calcoli astrologici, c’erano tante cose da approntare: ricavare una cornicetta da aste di alluminio, tagliare rettangoli da lastre di vetro, lamine metalliche di rame, ferro, piombo, argento e, infine, da fogli di pergamena vergine; quindi i simboli e i nomi sacri dovevano essere incise sui metalli con bulini, punzoni, oppure con la tecnica dell’acquaforte; sulla pergamena, invece, simboli e i nomi sacri erano da tracciare con compasso, cannetta e pennino metallico intinti in chine multicolori. Le varie parti, messe insieme con arte, formavano il talismano che appariva come un semplice quadretto a due facce, il cui spessore era riempito di speciali sostanze magnetiche. Seguivano, infine, ventuno giorni di esorcismi perché gli spiriti si insediassero per dare forza e vita, al talismano.
E mentre il Mago lavorava io, seduto accanto, ammiravo ciò che faceva. Come avrei voluto aiutarlo! Ma erano attività poco consone a un bambino. Qualche volta il babbo, arrugginito nelle tabelline e nelle divisioni, mi affidava il controllo dei calcoli astrali. Questo però non mi soddisfaceva.
Ma in un limpido pomeriggio di Luna Nuova, durante l’ora di Mercurio, propizia per le fatture dei talismani, chiesi:
«Babbone, posso aiutarti?»
E il Mago acconsentì di buongrado; pensò che avrei potuto ricalcare i segni abbozzati a matita su un rettangolo di pergamena, utilizzando righello, squadra, compasso e cannetta, con l’inchiostro di china nera, un lavoro adeguato a un bambino:
«Fai solo attenzione a non fare macchie, sennò dobbiamo raschiare via l’inchiostro con la lametta da barba e grattare con la carta smeriglio!»
Il babbo s’era impinguito dopo le sofferenze dell’infarto, la malattia aveva accresciuto la severità della fisionomia, importante fin dagli anni della giovinezza. La testa ora pareva ampliata dalla stempiatura e dalla pappagorgia; il volto era dominato da un triangolo ben visibile tra le sopracciglia, fortemente disegnate, la cui base era costituita da una profonda ruga orizzontale in cima al grande naso deciso. Gli occhi cerulei penetravano nelle persone come lance; lo sguardo volitivo non perdeva intensità nemmeno sorridendo, acquisiva semmai ambiguità mefistofelica; i passi, attutiti da pantofole di feltro, passeggiando per casa serio, concentrato in profondi pensieri, erano impercettibili come quelli di uno spirito, rivelati solamente dal cigolio delle assi del pavimento. Il babbo spesso raddolciva la parlata troppo secca, autoritaria di natura, modulando anche il deciso timbro basso e, al contempo, metallico della voce da attore drammatico. Non sopportava la costrizione di una cintura per cui in casa indossava sempre le bretelle tenendo il primo bottone dei pantaloni slacciato per infilare più comodamente il pullover di lana. Quando usciva per il centro della Città invece gradiva l’eleganza del doppio petto in principe di Galles con un borsalino a larga tesa, un poco all’americana, di un cappotto a mezza gamba con largo bavero, di una sciarpa di seta al collo; e sfoggiava, a braccetto, con orgoglio, la mamma come risplendente gioiello.

(Continua)

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