All’inizio della settimana, la mia cara mamma è stata dimessa dall’ospedale covid. Un medico mi ha detto telefonicamente: «Tre settimane fa davamo sua madre per morta». Poiché la mamma aveva, ed ha, contemporaneamente anche un grave problema al cervello, la neurologa per telefono ha esclamato, rispetto al covid: «E’ successo un miracolo! E guardi che noi abbiamo fatto ben poco. Ha fatto tutto da sola: improvvisamente ha deciso di continuare a vivere». Dunque la Bruna, vera combattente, ha sconfitto questo malefico virus pur avendo un grave ascesso nel cervello. Due infezioni di natura diversa. La mamma non ha sconfitto solo il covid ma, inspiegabilmente, le si è ridotto anche l’ascesso che, nel frattempo, aveva raggiunto le dimensioni di una piccola arancia. Ma non è tutto oro quello che luccica. Sono rimasti i consistenti danni neurologici ascrivibili all’ascesso a cui si aggiungono quelli dovuti al covid. Effettuati ben tre tamponi risultati negativi la mamma è stata trasferita in una clinica, posta ai piedi di San Michele in Bosco, per una robusta riabilitazione intensiva perché la mamma è ora emiplegica, afasica, necessita di essere alimentata in maniera artificiale, vigile ma forse non molto orientata. Chissà quanto migliorerà? Spero che siano dei maghi. Oppure spero in un secondo miracolo. I miracoli sono sempre graditi. Perché ho scritto forse ? Perché non vedo la mamma dal 23 aprile. Il motivo è purtroppo uno solo, sempre lo stesso: il coronavirus. Ho solo racconti e descrizioni dei medici. L’assenza della mamma da casa dura da più di due mesi a cui occorre aggiungere il tempo del primo ricovero per l’ischemia cerebrale. E improvvisamente mi sono trovato solo durante un periodo particolare della vita, cioè la fase di accettazione del mio nuovo status di pensionato. Un grande cambiamento non scontato, né semplice. La mamma ormai stava sempre in casa a parte quando usciva con me. Non poteva più uscire di casa da sola e quindi la portavo, molto volentieri, spesso la costringevo, a fare lunghe passeggiate, la spesa, a teatro e al cinema. Per tenerle la mente viva e vivace, perché invecchiasse bene. Il maggior tempo a mia disposizione l’avrei dedicato anche a lei. I miei gatti sono stati sempre presenze non trascurabili e costanti. Dove e quando c’era la mamma, c’era almeno uno dei tre gatti, se non tutti e tre insieme. Lillo, Pucci e la Minnie adoravano la mamma. Così la mamma li adorava. Una vera simbiosi che durava da tredici anni. La poltrona della mamma, una di quelle elettriche per pensione anziane o disabili, era diventata per i gatti una specie di ambito trofeo. Litigavano per potere sonnecchiare sulla poltrona insieme alla mamma e, soprattutto, quando non era occupata durante la notte o quando si era fuori casa. Dal 2 marzo, il giorno di ricovero della mamma per l’ ischemia, i gatti sono improvvisamente cambiati: hanno percepito fin dall’inizio il grande cambiamento, l’assenza della ’nostra’ mamma. Sono svogliati, apatici, disinteressati. Per lo più dormono, e mangiano anche molto meno. Uno dei tre, Pucci, è la mia sola consolazione notturna poiché dorme insieme a me standomi vicino vicino. Il suo tepore lenisce la mia solitudine. E soprattutto l’ambita poltrona della mamma rimane ora costantemente, tristemente, vuota. Nessun gatto l’occupa più. E non viene occupata nemmeno da me.