La cotoletta alla bolognese

Sgombriamoci, per prima cosa, la testa dall’idea che vi possa essere una rivalità tra la cotoletta alla bolognese e quella alla milanese. Sono pietanze completamente differenti, la prima non deriva dalla seconda né, tantomeno, il viceversa. La cotoletta alla bolognese è figlia di se stessa.

Solo per la ben più nota cotoletta alla milanese sussiste una disputa sulla paternità, reclamata sia dall’Austria con la wiener schnitzel che dalla Francia napoleonica. In realtà un particolare potrebbe allontanare queste insinuazioni: l’osso. Quella milanese, infatti, è una fetta di lombata dallo spessore variabile, c’è chi la fa sottile c’è chi la fa spessa, impanata dopo un passaggio nell’uovo sbattuto, e poi fritta nel burro chiarificato. L’utilizzo della lombata indurrebbe alla denominazione di costoletta alla milanese come, peraltro, avviene. Un piatto semplice ma per questo la buona riuscita non è scontata. Non v’è una regola sull’opportunità di aggiungere una fetta di limone.
Sontuosa, barocca, sensuale, la cotoletta alla bolognese si compone di diversi ingredienti e di una preparazione complessa. Quella alla bolognese non ha osso.
Per questa ricetta si utilizzano delle fette di fesa di vitello non molto spesse; una volta liberati i bordi da pellicine, nervetti e grasso, verranno leggermente appiattite con il batticarne ponendole tra due fogli di carta oleata affinché non si lacerino. Nel frattempo in una terrina, si sbatteranno con una forchetta le uova, a cui si aggiungeranno qualche goccia di limone, noce moscata, parmigiano reggiano grattugiato, sale ed eventualmente pepe bianco. In questo composto la carne verrà lasciata a marinare per mezz’ora. Quindi si grattugerà il pane a cui di mischierà altro parmigiano grattugiato. Sgocciolate le fette di carne, si farà una doppia impanatura con un secondo passaggio nel composto a base d’uovo.
Le cotolette verranno soffritte nel burro, meglio se chiarificato, a cui si può aggiungere uno spicchio di cipolla senza che esso arrivi a bruciare. Nemmeno le cotolette dovranno imbrunire perché la carne non si asciughi e rimanga tenera, conservando i suoi succhi.
Dopo la dolce frittura, verranno asciugate dal grasso superfluo e, deposte in un tegame metallico, ogni cotoletta dovrà essere totalmente ricoperta con una o due fette di prosciutto crudo dolce, e infine si ricoprirà con del parmigiano reggiano non molto stagionato.
Poiché le cotolette alla bolognese non devono essere croccanti, si verserà nel tegame o del brodo oppure un poco di latte. A questo punto si copre il tutto con un coperchio e, a fiamma bassa, si lascia che il formaggio fonda e che il liquido ammorbidisca l’impanatura senza che venga totalmente assorbito. Deve rimanere un denso sughino. Ė uso aggiungere sulla cotoletta un piccolo cucchiaio di salsa cotta di pomodoro per dare un po’ di colore.
Anziché la salsa rossa, si può aggiungere, assai più proficuamente, delle fettine di trifola che, a mio avviso, è la morte delle cotolette alla bolognese. Un trionfo di sapori.
C’è chi consiglia di utilizzare il maiale, ma una volta cotta, questa carne per lo più diventa troppo, non si ottiene, cioè, la giusta morbidezza. E lo stesso qualcuno indica nello strutto il grasso per effettuare la frittura. Tutto questo forse per dare un eccessivo imprimatur petroniano commettendo, a mio parere, un errore. La cotoletta alla bolognese è una delizia assai ricca ma non deve essere greve.
Ricordo con tanta nostalgia che quand’ero adolescente, ogni domenica sera, io e la mamma cenavamo al ristorante Camst in via Augusto Righi, sempre allo stesso tavolo nella sala sotterranea, e lì gustavo una variazione della ricetta tradizionale. La carne era quella di tacchino, il prosciutto crudo veniva sostituita dalla bolognesissima mortadella, e il parmigiano cedeva il passo a un bello strato di fontina. Erano cotolette enormi, ce n’era per due ma io me ne mangiavo una da solo. In ogni caso squisite. Una variante che potrei tentare di ricreare.
E comunque buon appetito a tutti.

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