Il Tempo e le Anime (A mio padre e a mia madre) – Parte ventisettesima

Intinsi serio il pennino del compasso nella boccetta di china quindi tracciai due circonferenze concentriche sul rettangolo di pergamena creando una cornice; asciugato l’inchiostro, con l’ausilio di un righello, disegnai due diametri perpendicolari terminanti con punte di freccia che formarono quattro settori. Il babbo, solitamente più prodigo di osservazioni che di gratificazioni, annuiva compiaciuto e sorridendo mi lodò. E infine dovetti ricalcare degli strani segni.
«Che cosa rappresentano questi disegni?», chiesi io.
«Sono i simboli che rappresentano gli spiriti protettori.»
Ritto, immobile, rimasi in attenta attesa del prosieguo con gli occhi sgranati. E il babbo proseguì senza eludere la complessa verità solo perché ero bambino. Certamente non avrei capito tutto ma, seminando con abbondanza, forse, prima o poi, sarebbe cresciuta qualche robusto germoglio. Disse allora che, in generale, si trovano simboli un po’ dappertutto, senza necessariamente essere tutti segni scritti, disegni o immagini; possono essere simboli anche delle cose, gesti, animali, perfino gli uomini. Ci sono i simboli per le operazioni dell’aritmetica, ce ne sono sulle cartine geografiche; tutte le bandiere sono simboli, così il tricolore verde-bianco-rosso è simbolo della nazione italiana; e ci sono simboli per votare i partiti politici, per indicare le sostanze e altri, assai differenti, come un teschio, per indicarne la pericolosità; anche certi gesti con le mani simboleggiano pensieri o stati d’animo; il leone può essere il simbolo di tre cose differenti come il coraggio, la Repubblica Veneziana e un Evangelista. Con i simboli si rappresentano delle cose molto elevate riguardanti l’anima: tutte le religioni hanno simboli, nella religione cristiana c’è la Croce, la Colomba, il Pesce, l’Agnello…forse ci può essere un simbolo per ogni cosa, materiale o immateriale, che riguarda la vita degli uomini. Simbolo è tutto ciò che richiama nella mente un’altra cosa differente da sé, spesso assai più importante; e i simboli, con un colpo d’occhio e poco poco di sale in zucca, sono per l’intelletto ben migliori delle parole nell’esprimere certuni pensieri e concetti; migliaia di parole occorrono per esprimere ciò che contiene un simbolo!
«Questi simboli rappresentano gli spiriti perché non li possiamo vedere?»
Il Mago mi spiegò che i simboli tracciati sulla pergamena rappresentano non solo l’invisibile ma possiedono qualcosa in più: nei tratti d’inchiostro, proprio su quei simboli in china, avviene il contatto con il Mondo non visibile per dare tanta forza al talismano da diventare la dimora degli spiriti.
«Questi però sono spiriti buoni, angeli, non spiriti dell’Inferno, non è vero?», chiesi indicando con il pennino i simboli ricalcati. Avevo in mente i libri di magia che sfogliavo regolarmente.
Il babbo trasse dal cassetto un rettangolo di pergamena già disegnata a china nera vista parecchie volte. Si tratta di un emblema in cui spiccava una mano bianca benedicente dalle dita elegantemente affusolate. Dietro a essa pare esserci la propria ombra ma, concentrando lo sguardo su di essa, si scorge che l’ombra in realtà è la testa del Maligno; il motto _Per benedictionem יהךה maledictus הךהי adumbratur_ sormonta ed esplica la singolare immagine. Il primo tetragramma ebraico è l’impronunciabile nome di Yahweh, cioè Dio, il secondo tetragramma è costituito dalle stesse lettere ma in ordine inverso e pertanto esso è il nome del Maligno. E sopra alla mano, una losanga composta da un triangolo bianco, rivolto verso l’alto, il cielo, e uno nero rivolto verso il basso, la terra. Infine una luna per metà bianca e per metà nera, oppure il simbolo Yin-Yang. Il motto significa: _Attraverso la benedizione יהךה il maledetto הךהי si manifesta_.
«Il Bene e il Male», continuò il babbo dopo un attimo di silenzio, «non sono distinti, coesistono…è l’intenzione degli uomini che porta o all’uno o all’altro. E il Mago può percorrere due strade: io seguo quella luminosa che porta al bene ma nella stessa maniera è possibile percorrere l’altra…»
E proseguì dicendo che quando i preti parlano del Demonio e dei diavoli non occorre credere loro in tutto; sono storie per intimorire, impaurire, educare i bambini e la gente che non sa.
«Sai quanto discuto di questo con Padre Faustino? Gli dico sempre che _ loro _ raccontano storie per anime semplici.»
«Hai detto queste cose a Padre Faustino?»
«Sì… scuote la testa… sorride e sempre mi dà l’assoluzione!»

(Continua)

Il Tempo e le Anime (A mio padre e a mia madre) – Parte ventiseiesima

Il babbo teneva in bella vista sulla scrivania degli arnesi da fabbro e falegname: una morsa da banco per lavorare in grande i metalli, qualche morsetto per lavorarli di fino, una sonora incudine arancione, uno smeriglio rotante e, inframmezzati, chiodi, viti, bulloni, compassi, lime, seghe, pialle, tenaglie, saldatori, pinze, martelli, punzoni, cacciaviti. Un trapano a colonna sovrastava questi oggetti assai inconsueti da trovare in un’abitazione, ancor più su di una scrivania.
Potrebbe esserci bambino non attratto da un simile armamentario? Se qualcuno sia mai esistito, io non fui certamente uno di questi. Con questi aggeggi unti e polverosi avevo un gran daffare: piallavo, tagliavo, affilavo, avvitavo, limavo, segavo, svitavo, smartellavo, foravo, saldavo, smontavo, rimontavo… E mi piaceva martoriare un specie di torta di piombo spessa due dita. E mi piaceva giocare accostando una bella calamita alle limature e oggetti ferro. E quanto mi divertivo generare decine di goccioline di mercurio, contenuto in un flaconcino scuro per poi riottenere la goccia originaria! Lasciavo sempre sul pavimento limatura, segatura e il tavolo in confusione! La mamma, riordinando, spazzando il pavimento, si arrabbiava con il babbo che orgogliosamente giustificava tutto questo perché giocavo a fare l’uomo.
Con gli stessi attrezzi il Mago invece esercitava un’arte senza pari. Come Michelangelo traeva dal grezzo marmo magnifiche forme utilizzando umili mazze e scalpelli, così il Mago creava con metalli, pergamene, chine colorate, e particolari sostanze dei talismani che arrecavano salute, ricchezza e amore.
Terminati i calcoli astrologici, c’erano tante cose da approntare: ricavare una cornicetta da aste di alluminio, tagliare rettangoli da lastre di vetro, lamine metalliche di rame, ferro, piombo, argento e, infine, da fogli di pergamena vergine; quindi i simboli e i nomi sacri dovevano essere incise sui metalli con bulini, punzoni, oppure con la tecnica dell’acquaforte; sulla pergamena, invece, simboli e i nomi sacri erano da tracciare con compasso, cannetta e pennino metallico intinti in chine multicolori. Le varie parti, messe insieme con arte, formavano il talismano che appariva come un semplice quadretto a due facce, il cui spessore era riempito di speciali sostanze magnetiche. Seguivano, infine, ventuno giorni di esorcismi perché gli spiriti si insediassero per dare forza e vita, al talismano.
E mentre il Mago lavorava io, seduto accanto, ammiravo ciò che faceva. Come avrei voluto aiutarlo! Ma erano attività poco consone a un bambino. Qualche volta il babbo, arrugginito nelle tabelline e nelle divisioni, mi affidava il controllo dei calcoli astrali. Questo però non mi soddisfaceva.
Ma in un limpido pomeriggio di Luna Nuova, durante l’ora di Mercurio, propizia per le fatture dei talismani, chiesi:
«Babbone, posso aiutarti?»
E il Mago acconsentì di buongrado; pensò che avrei potuto ricalcare i segni abbozzati a matita su un rettangolo di pergamena, utilizzando righello, squadra, compasso e cannetta, con l’inchiostro di china nera, un lavoro adeguato a un bambino:
«Fai solo attenzione a non fare macchie, sennò dobbiamo raschiare via l’inchiostro con la lametta da barba e grattare con la carta smeriglio!»
Il babbo s’era impinguito dopo le sofferenze dell’infarto, la malattia aveva accresciuto la severità della fisionomia, importante fin dagli anni della giovinezza. La testa ora pareva ampliata dalla stempiatura e dalla pappagorgia; il volto era dominato da un triangolo ben visibile tra le sopracciglia, fortemente disegnate, la cui base era costituita da una profonda ruga orizzontale in cima al grande naso deciso. Gli occhi cerulei penetravano nelle persone come lance; lo sguardo volitivo non perdeva intensità nemmeno sorridendo, acquisiva semmai ambiguità mefistofelica; i passi, attutiti da pantofole di feltro, passeggiando per casa serio, concentrato in profondi pensieri, erano impercettibili come quelli di uno spirito, rivelati solamente dal cigolio delle assi del pavimento. Il babbo spesso raddolciva la parlata troppo secca, autoritaria di natura, modulando anche il deciso timbro basso e, al contempo, metallico della voce da attore drammatico. Non sopportava la costrizione di una cintura per cui in casa indossava sempre le bretelle tenendo il primo bottone dei pantaloni slacciato per infilare più comodamente il pullover di lana. Quando usciva per il centro della Città invece gradiva l’eleganza del doppio petto in principe di Galles con un borsalino a larga tesa, un poco all’americana, di un cappotto a mezza gamba con largo bavero, di una sciarpa di seta al collo; e sfoggiava, a braccetto, con orgoglio, la mamma come risplendente gioiello.

(Continua)

You cannot copy content of this page