Il Tempo e le Anime (A mio padre e a mia madre) – Parte ventesima

Occorreva iniziare senza perdere tempo la preparazione del talismano da donare a Bruna perché la stessa favorevole congiunzione tra gli astri sarebbe ricorsa solo al termine dell’autunno. Troppo da attendere: il Mago doveva sposare Bruna ben prima perché desiderava avere un figlio con lei, l’unico figlio proprio.
Nella creazione di un talismano, per entrare in armonia con il corpo e l’essenza della persona da servire, il Mago doveva dapprima capire quale fosse la vera natura del soggetto: era necessario che l’uomo o la donna mostrasse rettitudine sia nel pensiero che nelle azioni poiché il Mago non avrebbe mai facilitato chi opera nel male o per conseguirlo. Più semplice gli era creare talismani per i bambini, essendo privi di pensieri riposti. Il Mago sfogliava compendi astrologici malandati e ingiallite effemeridi per effettuare dei calcoli poiché nel cielo stavano i giusti Nomi degli Spiriti perché i talismani diventassero come nuovi organi vitali, secondo cuore, secondo cervello, formidabili protettori, stretti complementi dell’essere. Possederne i nomi significava asservirli. Né il migliore degli esorcisti, né un prete, nemmeno un sant’uomo, avrebbe potuto sciogliere i potenti legami tra il talismano ed il suo protetto. Solo il loro artefice avrebbe potuto farlo: il Mago. Aprire, distruggere un talismano, pure perderlo o separarsene, sarebbero state azioni esiziali, diventando esso perfino una temibile arma vendicativa portatrice di imprevedibili avversità.
La realizzazione del nuovo talismano per la mamma principiò ricavando due rettangoli dalla pergamena ricavata dalla pelle del capretto sgozzato che il Mago aveva fatto conciare. Su una di esse aveva tracciato con l’inchiostro di china nero cinque pentacoli rotondi pieni di segni esoterici dalla Qabbalah, certuni colorati con china verde, arancione e marrone. In cima dominava, in lettere latine, il sommo nome di Adonai, sotto, a destra e a sinistra, quello dei due spiriti di luce che avrebbero servito la mamma: Mileh, portatore di potenza e salute, Astrochio, per amore e ricchezza. In basso, i nomi di quattro temibili spiriti delle tenebre, cavalieri che l’avrebbero protetta e vendicata.
In fondo alla pergamena un lampo, l’ammonimento e maledizione del Talismano contro ladri d’anime e per chi sentenzia, essendo semplicemente un uomo:
Chi ti ruba, chi ti giudica è maledetto.
Sull’altra pergamena il Mago aveva tracciato la complessa interiore cosmogonia esoterica Ermete Trismegisto secondo cui Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e ciò che è in alto è come ciò che è in basso, per fare i miracoli della realtà Una. In cima il volto di un Sole antropomorfo, statico e serafico, a cui si contrappone in basso la Terra percorsa da una miriade di ctonii meridiani vibranti d’energia. A metà della pergamena partono, da destra e da sinistra, come dei raggi, sette linee verso l’alto e altrettante verso il basso che, congiungendosi, formano sette losanghe concentriche. Il Mago aveva distinto gli spazi tra una e l’altra con il rosso del sangue, il verde dei vegetali, il giallo del sole allo zenith, l’arancione del tramonto, il nero del Nulla. Dentro all’ultima losanga, quella più interna, stanno sette circonferenze concentriche, le sfere celesti con i nomi di una legione di spiriti.
In basso il Mago aveva tracciato altri due pentacoli, e così in tutto nel Talismano ve ne sono sette.
Accanto all’astro portatore di luce, si staglia il sigillo di Salomone, dove il Macrocosmo e il Microcosmo si rispecchiano, unione di principi opposti ma indivisibili, fusione mistica del Maschile con il Femminile.
Tre frasi, accanto al Sole radiante, dettano le regole apodittiche, l’una di preludio all’ altra, per il possesso del talismano al fine di accedere alle verità della scienza sacra esoterica:
 Si deve sapere per osare
 Si deve osare per volere
 Tacere si deve per regnare.
Il sole, apparentemente statico, emetteva cinque impulsi, cinque onde che increspavano l’etere cosmico, su di esse cinque scritte che svelavano l’ordine, il piano, dietro all’Universo: l’onda più lontana dall’astro rappresentava la Materia, seguiva la Natura, l’Anima, l’Intelletto e poi, diretta emanazione della Luce, la Sapienza.
Al centro delle pergamene il Mago aveva praticato delle aperture. Quella della prima pergamena era un foro circolare e costituiva anche il centro di un pentacolo dal colore della terracotta pieno di simboli esoterici.
Sull’altra pergamena, la seconda apertura, allineata con l’altra, aveva la forma di tre cerchi sovrapposti, sovrastati dal volto di una creatura infernale, le cui corna erano anche, al contempo, come due antenne, da cui partivano due flussi di energia che, attraversando le sfere concentriche, venivano convogliati verso l’alto con una strana macchina astrale fino a onde esterne emanate dal Sole. Dal triplice foro centrale la sacra energia della vita del ventre femminile, convogliata da arcane macchine astrali, arrivava fin oltre la sfera della Sapienza. Il Mago aveva sistemato le pergamene in una cornice metallica della stessa forma, protette da due vetri, così il talismano aveva due facce differenti.
Il Mago riempì lo spessore tra le pergamene con una ciocca di capelli e peli intimi di Bruna, impalpabili foglie d’oro, polveri ferrose magnetizzate, pelle di vipera, cavallucci di mare, sostanze rare e, al centro, mostrata dalle aperture, aveva imprigionato una goccia di mercurio.
«Questo Talismano ci unirà per sempre: quando non ci sarò più, io finirò qui dentro…»
Gli occhi della mamma s’arrossarono:
«Perché dici queste cose? Io non voglio che…», e scappò via senza terminare la frase.
Il Talismano aveva da segnare il nuovo tempo della mamma. Andò indietro con i ricordi fino a che poté, li scrisse su di un taccuino, lo mise nelle mani del babbo che lo gettò senza leggerlo tra le fiamme rombanti nella stufa parigina.
E con lo sguardo severo, diretto verso le mie pupille, la mamma mi disse:
«Durante la convivenza, dormivamo in letti separati e tuo padre mi ha sempre rispettata; mi devi credere. Subito dopo aver terminato il Talismano decidemmo di sposarci e abbiamo avuto i primi contatti. Poco dopo sono rimasta incinta di te.»

(Continua)

Il Tempo e le Anime (A mio padre e a mia madre) – Parte diciannovesima

Cosicché arrivò l’alba scura di un difficile giorno invernale all’inizio del 1955. Pochi camminavano per strada, la vita si rivelava per la luce che filtrava attraverso gli spiragli delle imposte socchiuse. La neve ghiacciata durante la notte dava la sensazione di calpestare acuminate punte vetrose scricchiolanti. Il Mago e la mamma salirono su di un taxi con due valigie contenenti abiti e oggetti necessari per i giorni di compimento dell’ Opera. L’automobile partì con un rombo profondo verso le montagne.
Dopo una sessantina di chilometri la vettura si fermò a Vimignano davanti a un podere collinare con una casa di pietra secolare. Gli ospiti, Celso e Mafalda, questa una parente alla lontana del babbo, conoscevano senza particolari la ragione per cui, di tanto in tanto, lo ospitavano nella loro casa. I due contadini sapevano che il babbo avrebbe procurato il bene ad altri e tacevano secondo il riserbo dei montanari. I miei genitori dimoravano in due stanze indipendenti a piano terreno che davano sulla calma del bosco.
Arrivò l’imbrunire e il Mago prese fuori dalla valigia un foglio di pergamena, lo srotolò sul tavolo e vi scrisse con la china nera. Dispose in cima al foglio sei boccette aperte di china differentemente colorata con tante cannette munite di pennino metallico a destra e a sinistra della pergamena.
«Durante la notte mi assenterò e rimarrai completamente sola. Ho chiesto a Celso e a Mafalda di allontanarsi fino alla mattina di domani. Qualunque cosa succeda, qualunque cosa sentirai, non dovrai uscire assolutamente dalla camera da letto. Proverai paura ma, non temere, all’interno di questa stanza non ti succederà nulla, nessuno ti farà del male. Se vuoi posso darti delle gocce per calmarti. Dovrai pensare a me con tutte le tue forze, con tutta l’anima tua…ho bisogno della tua forza. Sarà una dura prova.» E la mamma rifiutò i barbiturici: non voleva essere assente da sé stessa.
Per il compimento della sua opera, il Mago aveva scelto un crocevia solitario, dove si incontravano tre sentieri in mezzo ad un bosco di querce vicino ad una vena d’acqua cristallina che si disperdeva tra sterpi e foglie, luogo in cui misteriose forze naturali amplificavano l’efficacia delle sue magie. Le nubi s’erano dileguate prima del mezzogiorno. Il cielo terso, abbagliante, intensamente turchino, presagiva una gelata notturna; il Mago, aiutato da Celso,  nel pomeriggio avevano liberato dalla neve il sentiero che dalla casa conduceva al crocevia.
Passata la mezzanotte calzò scarpe grosse, indossò il pesante cappotto, un cappello, e una sciarpa; chiuse la cigolante porta di entrata quindi raggiunse il crocicchio tra le querce con una lampada al carburo che diffondeva una luce gialla e una robusta zanetta in legno per non scivolare lungo il percorso. Sull’imbrunire aveva legato un capretto comprato da Celso a un tronco e riparato dal freddo con dei cartoni.
Il Mago accese un fuoco su cui gettò una manciata di incenso mentre pronunciava un esorcismo. Con un pugnale indiano tagliò la gola alla bestia, l’appese a un albero a testa in giù per raccoglierne il sangue che lo versò sulle fiamme senza spegnerle; sempre mormorando delle formule rituali, il Mago con mano sicura scuoiò la piccola vittima del sacrificio e mise la pelle in una sacchetto. E quindi si incamminò verso la casa di pietra.
Il peso della paura gravava sulla mamma impedendogli di avvertire la stanchezza del giorno trascorso. Nessun sedativo l’avrebbe indotta alla calma e ancora meno al sonno; sentiva che quella situazione era una sfida in cui intendeva vincere. Accese una lampada e si sedette su una poltroncina, immobile, con le mani aggrappate ai braccioli, non riusciva a pensare di distendersi né voleva camminare lungo la stanza per evitare di avvicinarsi alla soglia della stanza, la cui porta era stata lasciata aperta dal Mago.
In un batter di ciglio sembrò che la casa non avesse più pareti di pietra solida; la mamma si trovò in mezzo ad una gelida tempesta di vento, il freddo giunse fino alle ossa ma rimase immobile controllando il tremore dei brividi. Sentì la stanza accanto riempirsi di esseri, cavalieri a cavallo di quelle folate che non poteva vedere ma di cui percepiva chiaramente la presenza. Il vento cessò. Tutto svanì lasciando il vuoto.
Il babbo con le mani ancora sporche di sangue si precipitò a controllare lo stato della mamma, immobile sulla poltrona, in attesa del suo ritorno. Solo allora principiò a tremare sia per il freddo che per sfogare la tensione interiorizzata e il babbo la coprì dicendole:
«Bruna, sei stata brava, mi hai dato tanta forza», baciandola sul capo.
E il babbo raggiunse il tavolo nella stanza accanto: trovò le cannette posate in cima alla pergamena e, sotto alle richieste che il Mago aveva scritto durante il pomeriggio, vi erano sei firme di colori differenti non con alfabeto umano ma con quello celeste.
L’Opera era stata accettata.

(Continua)

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