La vita è sogno

Da quando la mamma non è più in casa con me, in particolare da quando ho dovuto prendere la difficile decisione di affidarla ad una casa di riposo, tante cose non sono più le stesse. Mi pare di vivere una situazione provvisoria che non mi appartiene. E invece non c’è nulla di provvisorio poiché la mia carissima mamma non potrà essere più com’era fino a pochi mesi fa. Non mi sono rassegnato a ciò che è capitato alla mamma nei mesi passati, ancora meno ho accettato la casa di riposo. Sono inquieto, triste e, soprattutto, penso spesso alla mamma.
Per rifiutare il presente e le vicende appena passate, per non progettare il futuro dormo di più, ma in maniera inquieta. Fatico a prendere sonno, mi sveglio spesso, e poi, verso le cinque del mattino, dal letto della mamma mi trasferisco in quello della mia stanza. Così completo il riposo nel mio letto fino alle nove – nove e trenta del mattino. La notte passata ho fatto un sogno particolare prima di cambiare il letto. C’è, innanzitutto, da raccontare che talora faccio dei sogni ricorrenti ambientati in zone della città di Bologna inesistenti. Ricorrenti perché quel sogno si ripresenta per notti differenti, quasi mai ravvicinate del tempo. Zone inesistenti, ma attigue a luoghi ben conosciuti: dapprima mi trovo nel luogo reale e poi svolto un angolo o prendo una strada che mi conducono in un altro luogo – una strada, una piazza, un palazzo, un giardino – questo, però, reale solamente nel mio sogno.
Questi luoghi onirici sono così gradevoli che, durante il sogno, provo piacere e felicità per essermi trovato lì. Luoghi così gradevoli che porto con me le belle sensazioni anche dopo essermi risvegliato. Così gradevoli che qualche volta ho pensato di non aver sognato posti inesistenti, ma che fossero luoghi reali.
Normalmente durante questi sogni sono solo, non ho compagni di viaggio.
L’altra notte, invece, era come me una persona adorata: la mia mamma.
Ho sognato che passeggiavamo insieme a braccetto lungo Via d’Azeglio. Siamo passati frequentemente per questa strada. Improvvisamente ci siamo trovati davanti ad un ampio arco, inesistente, l’abbiamo attraversato e ci siamo trovati in una piazzetta chiusa da un bellissimo palazzo barocco sormontato da tre cupole a punta simili a quelle del Cremlino. Tutto inesistente nel vero. L’abbiamo rimirato da cima a fondo, io ho provato felicità ed ho percepito anche la felicità della mamma. Che bello sentire la felicità altrui, specialmente quella di una persona profondamente amata!
Il sonno si è interrotto ma poi, riaddormentandomi, la visione e le piacevoli sensazioni si sono replicati.
Verso le cinque del mattino mi sono alzato per proseguire a dormire nel mio letto, contento d’aver ospitato la mia mamma in un sogno generatore di serenità, in contrasto con le preoccupazioni e la tristezza della vita reale di questi giorni.
Poiché questi sogni sono ricorrenti, spero che la mamma riappaia di nuovo in questi miei luoghi inesistenti, ma che per me sono veri quanto il vero. E così me la sentirei vicina.
Trovo consolazione nelle parole di Sigismondo, protagonista de La vita è sogno, il famoso dramma di Calderón de la Barca:

Cos’è la vita? Un’illusione,
Un’ombra, una finzione,
e il bene maggiore non è che un’inezia:
perché tutta la vita non è altro che un sogno,
e i sogni, non sono altro che sogni.

Gatti e l’assenza

All’inizio della settimana, la mia cara mamma è stata dimessa dall’ospedale covid. Un medico mi ha detto telefonicamente:
«Tre settimane fa davamo sua madre per morta».
Poiché la mamma aveva, ed ha,  contemporaneamente anche un grave problema al cervello, la neurologa per telefono ha esclamato, rispetto al covid:
«E’ successo un miracolo! E guardi che noi abbiamo fatto ben poco. Ha fatto tutto da sola: improvvisamente ha deciso di continuare a vivere».
Dunque la Bruna, vera combattente, ha sconfitto questo malefico virus pur avendo un grave ascesso nel cervello. Due infezioni di natura diversa.
La mamma non ha sconfitto solo il covid ma, inspiegabilmente, le si è ridotto anche l’ascesso che, nel frattempo, aveva raggiunto le dimensioni di una piccola arancia.
Ma non è tutto oro quello che luccica.
Sono rimasti i consistenti danni neurologici ascrivibili all’ascesso a cui si  aggiungono quelli dovuti al covid.
Effettuati ben tre tamponi risultati negativi la mamma è stata trasferita in una clinica, posta ai piedi di San Michele in Bosco, per una robusta riabilitazione intensiva perché la mamma è ora emiplegica, afasica, necessita di essere alimentata in maniera artificiale, vigile ma forse non molto orientata. Chissà quanto migliorerà?
Spero che siano dei maghi. Oppure spero in un secondo miracolo.
I miracoli sono sempre graditi.
Perché ho scritto forse ? Perché non vedo la mamma dal 23 aprile. Il motivo è purtroppo uno solo, sempre lo stesso: il coronavirus. Ho solo racconti e descrizioni dei medici.
L’assenza della mamma da casa dura da più di due mesi a cui occorre aggiungere il tempo del primo ricovero per l’ischemia cerebrale.
E improvvisamente mi sono trovato solo durante un periodo particolare della vita, cioè la fase di accettazione del mio nuovo status di pensionato. Un grande cambiamento non scontato, né semplice.
La mamma ormai stava sempre in casa a parte quando usciva con me. Non poteva più uscire di casa da sola e quindi la portavo, molto volentieri, spesso la costringevo, a fare lunghe passeggiate, la spesa, a teatro e al cinema. Per tenerle la mente viva e vivace, perché invecchiasse bene. Il maggior tempo a mia disposizione l’avrei dedicato anche a lei.
I miei gatti sono stati sempre presenze non trascurabili e costanti. Dove e quando c’era la mamma, c’era almeno uno dei tre gatti, se non tutti e tre insieme.
Lillo, Pucci e la Minnie adoravano la mamma. Così la mamma li adorava. Una vera simbiosi che durava da tredici anni.
La poltrona della mamma, una di quelle elettriche per pensione anziane o disabili, era diventata per i gatti una specie di ambito trofeo. Litigavano per potere sonnecchiare sulla poltrona insieme alla mamma e, soprattutto, quando non era occupata durante la notte o quando si era fuori casa.
Dal 2 marzo, il giorno di ricovero della mamma per l’ ischemia, i gatti sono improvvisamente cambiati: hanno percepito fin dall’inizio il grande cambiamento, l’assenza della ’nostra’ mamma.
Sono svogliati, apatici, disinteressati. Per lo più dormono, e mangiano anche molto meno.
Uno dei tre, Pucci, è la mia sola consolazione notturna poiché dorme insieme a me standomi vicino vicino. Il suo tepore lenisce la mia solitudine.
E soprattutto l’ambita poltrona della mamma rimane ora costantemente, tristemente, vuota.
Nessun gatto l’occupa più.
E non viene occupata nemmeno da me.

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