Il fattore K e gli utili idioti (Fine)

Berlusconi per svariati anni tramutò in oro tutto ciò che toccava, come re Mida. E scansava guai giudiziari.

Uomo assai generoso, non pensava unicamente a sé ma anche a chi gli orbitava intorno, consociati e associati, puttane e puttanieri.

Si sa che, vicino al Sole, ci si scalda un po’ tutti.

Il prodigo ex Cavaliere recapitò particolari pacchi-dono pure a chi stava lontano da lui, ai suoi oppositori nel Paese: il regalo agli elettori che non lo gradivano fu che influenzò e sfiancò, con la sua discesa in politica e l’ attività di governo,  la Sinistra.Se la Sinistra nella Seconda Repubblica da tempo non è più di sinistra, almeno rispetto alle classiche categorie di qualche decennio fa, è stato anche un merito di Berlusconi.

Non espressioni di nuove idee post-comuniste, i DS e il PD nacquero per arginare il torrenziale ex Cavaliere. Questi partiti sono stati degli accordi elettorali che hanno rincorso Berlusconi senza una propria strategia, un’identità, una linea politica coerente e convincente.

Tutti abbiamo visto questa mutazione, seduti a casa sulle nostre poltrone, guardando gli infernali talk-show colonizzati da politici vociferanti. La politica in televisione, con Berlusconi, si è indubbiamente ravvivata…ma a quale prezzo!

Con faccia di tolla, i peones del Centro-Destra effettuavano incredibili ribaltoni ideologici in diretta. Gli storici valori venivano travisati: quel che una volta apparteneva alla Sinistra diventava di Destra e viceversa. I veri progressisti, coloro che desideravano veramente il cambiamento e il benessere del popolo, stavano con l’ex Cavaliere. Un colpo di scena. La Sinistra significava sostenere le purghe staliniste e i gulag. I Comunisti erano dei reazionari che si opponevano ad ogni forma di cambiamento.

Insomma, uno zibaldone politico e culturale.

Cultura? Ma mi facci il piacere!

A proposito di popolo. Questa è una bellissima parola che odio nell’uso televisivo. C’è un popolo per ogni occasione, stagione e gusto, il popolo dei vacanzieri, il popolo di sinistra, il popolo di destra, il popolo delle partite IVA, il popolo di qua, il popolo di là…

Ed odio i politici, specialmente quelli di destra, allorché attribuiscono al popolo pensieri, orientamenti, paure e sentimenti collettivi secondo il proprio tornaconto.

Durante la Seconda Repubblica, i talk-show, i telegiornali, diventati palcoscenici per esibire i problemi giudiziari e le innumerevoli marachelle, pubbliche e private, di Silvio Berlusconi, ci hanno dato dei tormenti senza fine. Le questioni personali intrecciate indissolubilmente a quelle pubbliche riguardarono l’intero paese e lo bloccarono dinnanzi ai teleschermi.

I minus habentes del Centro-Destra, per giustificare le azioni del Capo, il padrone del partito-azienda, hanno strologato un campionario infinito di incredibili sofismi, fesserie e minchionerie senza pudore. Raffiche di stupidaggini ci lasciavano a bocca aperta e offendevano la nostra intelligenza. Nonostante questo, tanta gente rimaneva impigliata nelle reti del Centro-Destra. Credeva o voleva credere a questo branco di utili idioti. Ogni cosa veniva trasformata nel suo contrario secondo la tecnica consumata del ribaltamento della frittata, inducendo i politici di Centro-Sinistra a discutere all’infinito, dinanzi alle telecamere, su questioni che, se non avessero avuto il potente Capo del Governo come protagonista, si sarebbero potute liquidare in pochi istanti utilizzando un poco di buonsenso e di etica. Battibecchi, bizantinismi urlati tra i peones del Popolo della Libertà – l’ennesimo riciclo berlusconiano – e gli uomini del Centro-Sinistra inondavano, così, i talk-show politici fino alla nausea.

E qualche meschino, alzando gli occhi al cielo, avrà trovato conforto nella religione:

«Signore, perché ci hai abbandonato?»

E qualcun altro, guardando il cielo:

«Per tua infinita bontà ce l’hai mandato su questa Terra, ma ora…riprenditelo!»

Ogni battuta, ogni legge, ogni erezione, ogni processo, ogni gesto, ogni puttana, ogni scandalo dell’ex Cavaliere, tutto veniva commentato facendo la fortuna di conduttori televisivi e, soprattutto, quella di comici efficaci ed acuti come Corrado Guzzanti e Maurizio Crozza, più liberi di tanti commentatori politici.

Essere l’onnipresente protagonista di monologhi satirici, secondo Aristotele, non sarebbe dovuto essere un motivo di gran vanto per Berlusconi: «la commedia è…imitazione di persone che valgono meno». Ed ancora, «il ridicolo è…un errore e una bruttezza indolore e che non reca danno, proprio come la maschera comica è qualcosa di brutto e di stravolto senza sofferenza».

Questa saggezza antica mi piace.

Ipse dixit.

I comici incominciarono a menare schiaffi anche sulla facce della permalosetta Sinistra, sempre poco incline a essere scrutata dalla lente irriverente della satira. Gli ex-compagni non sono mai stati fonte di grande ispirazione per qualche risata essendo persone costituzionalmente pedanti. Abbiamo visto un po’ di satira su d’Alema, Bertinotti e Prodi. Persone poco estrose rispetto a quel ganassa di Berlusconi. Far sorridere con Letta, la Finocchiaro, Speranza sarebbe un’azione da supereroe.

Durante le elezioni del 2013, invece, qualcosa si mosse: nacque uno strano connubio tra la Sinistra e la satira politica.

Si tennero le elezioni primarie del PD. Il segretario Pierluigi Bersani venne designato come candidato che avrebbe dovuto contrastare Berlusconi. Viste le macerie lasciate dal Centro-Destra non affatto sgombrate dal Governo di Mario Monti voluto dal Presidente Napolitano, era necessario che Bersani vincesse le elezioni.

Pareva un compitino facile facile dal momento che quest’uomo mandato dal cielo trasudava noiosa onestà emiliana da tutti i pori.

Costantemente accigliato, Bersani aveva toni burberi come l’Onorevole Peppone ed esprimeva la sua strategia politica con brevi e curiose metafore, quasi proverbi, dal sentore di stallatico, discendenti di un’antica saggezza contadina. Roba da calendario di Frate Indovino.

Io temevo sempre di non capire queste metafore fino in fondo. Poi capii che, per capirle, non occorreva capire niente:  la politica spiegata al popolino si fondava sul nulla.

Queste metafore da Bar Sport della Bassa, va da sé, non passarono inosservate. Ben presto diventarono pane caldo e croccante sotto i denti di un ottimo comico genovese, Maurizio Crozza, che diede vita ad una efficace imitazione del delfino del Centro-Sinistra, ridicolizzandone la retorica strapaesana.

La politica raramente mi stupisce, ma in questa occasione ci riuscì: in totale assenza di idee efficaci, anzi in mancanza di ogni idea, il futuro presidente del consiglio della nazione italiana iniziò ad imitare l’imitazione di un comico che lo imitava. Un’antinomia!

E fu così che Bersani si ispirò ai siparietti comici di Crozza:

«Ancora sette giorni e lo smacchiamo noi il giaguaro».

Noi elettori di centrosinistra fummo presi da vampate di entusiasmo e in coro gridammo «avanti, o popolo, alla riscossa»!

«Questo sì che è il nostro uomo del destino! Questa sì che è una vera gioiosa macchina da guerra!»

Pareva di ascoltare la Signora Coriandoli. Roba da matti.

Meno male che Crozza diede questo spunto perché la propaganda elettorale di Bersani, per dirla con un neologismo, fu veramente apallica e, contemporaneamente, piena di supponenza. Perché impegnarsi quando nel karma del Centro-Sinistra stava scritto che il Giaguaro sarebbe diventato più bianco del bianco?

«Vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole» e più non domandatemi, sembrava voler dire l’onesto Bersani, indicando il cielo con l’indice.

Per le elezioni del 2013, un altro comico aveva in pentola progetti assai ambiziosi.

Quella del comico è una vita assai più faticosa rispetto a quella di un attore serio. L’arte del suscitare il riso è benedetta, ma difficile. Una franca risata, con il suo benessere, costituisce una chiave preziosa per arrivare al cuore delle persone più efficace del pianto. Chi suscita il riso ha, quindi, un grande potere  e riesce a veicolare importanti contenuti. Il comico può influenzare quanto uno psicologo.

Beppe Grillo, comico genovese non tanto bravo quanto abile – carpiva lo stile irresistibile e l’ efficace mimica di un grande attore suo concittadino, Gilberto Govi – costruì un impero e un partito sulla caracollante politica italiana.

Ebbe vita facile. Con i nostri politici si sarebbe arricchito perfino un attore del cinema muto.

Fin da quando apparve in trasmissioni di grande popolarità, agli inizi degli anni ’80, l’ho sempre guardato con diffidenza perché non riuscivo a capirne la matrice ideologica.

«Beppe Grillo – mi chiedevo – è di sinistra o di destra? Da che parte sta?»

Il sincretismo ideologico non mi piace, nemmeno da un comico.

Dai potenti è stata sempre lasciata ai giullari una certa libertà di parola, Castigat ridendo mores.

Una volta, però, Beppe Grillo pronunciò pesanti illazioni sui socialisti che si dimostrarono veritiere qualche anno dopo. Bettino Craxi non le gradì. Il comico fu scacciato dalla Rai e seguirono anni di damnatio memoriae. Da proscritto prese a girare per teatri. La gente, scontenta per tutto quel che accadeva nel Paese, accorreva a frotte ai suoi ambigui monologhi e dava credito alle parole del comico facendosi suggestionare politicamente. Il pubblico andava in visibilio allorché sentiva criticare ferocemente tutto e tutti. Talora rivelava in anteprima notizie che poi avrebbero avuto rilevanza giudiziaria e risonanza nazionale, come il caso Parmalat. Chi fornì a Grillò quelle notizie riservate? I misteri gloriosi di Grillo.

Ai miei tempi si diceva che tutto è politica, parafrasi delle parole, «l’uomo è un animale politico». Ancora Aristotele! Con i suoi spettacoli, pareva evidente che Grillo facesse politica attiva.

Giunti i tempi di Internet, il comico genovese progettò un blog che amplificava la critica allo status quo e fidelizzava gli scontenti intorno a sé. Spacciava quello spazio informatico come l’unico luogo della verità. La Casa della Verità.

Internet, il nuovo Eldorado della libertà di pensiero.

Internet, un altro facile mito da osservare con occhio critico.

Un ragguardevole bacino di persone, composto sia dal pubblico fedele dei teatri che dagli utenti del blog, orbitava intorno a Grillo. Era un uomo contro il sistema ma  che poteva piacere a tutti, dall’estrema sinistra fino all’estrema destra.

Grillo, comico e politico, sfruttava forme apparentemente nuove di comunicazione e di dialogo con la gente ma, di fatto, seguiva il solco tracciato da Berlusconi. Utilizzava solamente una nuova tecnologia.

L’8 settembre 2007 io e la Bruna eravamo in Piazza Maggiore per assistere al V-Day. Ci dicemmo:

«Dai, qualche risata alle spalle di Berlusconi e d’Alema ce la faremo». Lo considerammo uno spettacolo gratis et amore Dei. A Bologna si dice anche «a gratis».

Quell’assolato sabato di protesta ci permise, invece, di toccare con mano quanto avesse attecchito il nuovo movimento-partito in una città tradizionalmente di sinistra, apparentemente refrattaria a personaggi di questo tipo, seppur, da tempo, in crisi politica. A quella di Bologna, si unirono le piazze di tante altre città.

Molta gente ovunque.

Ritornando a casa, io e la Bruna capimmo che mai Grillo si sarebbe beccato il nostro voto. La Bruna però, politicamente assai più lungimirante di me, come già dimostrò ai tempi di Berlusconi, previde che il comico genovese avrebbe fatto vedere i sorci verdi a tutti. La Bruna è meglio di tutti i sondaggi ed exit poll.

Quel grande raduno divenne una conta per un nuovo partito.

Il nuovo partito si poteva fare e si fece. Arrivò il Movimento Cinque Stelle, fondato dal comico genovese e da un certo carneade milanese, l’imprenditore Gianroberto Casaleggio. Carneade! Chi era costui?

Il Movimento Cinque Stelle si dimostrò essere l’ennesimo specchio per le allodole.

E’il partito dallo smartphone in mano, il movimento del click su «mi piace» e «non mi piace», delle idee che non devono occupare più di centosessanta caratteri. Anzi meglio esprimere le idee con gli emoticon, si fa prima.

A parole, le decisioni politiche vengono prese dagli iscritti al blog con consultazioni on-line. Sarebbe questa una nuova forma di democrazia proveniente dal basso, ma i risultati possono essere rivoltati dai padroni del Movimento se non paiono conformi ai criteri che lo regolano.

Chi controlla queste consultazioni? Chi attesta che esse siano esenti da pressioni, che i risultati rispettino la libera coscienza dei votanti?

Esiste un garante? Certamente.

E’ Beppe Grillo!

Meglio i foglietti strappati da un notes, segnati con un lapis e buttati in una cesta di vimini. I risultati sono più certi e democratici, sentite a me!

Un ex socio del carneade Casaleggio ha detto che:

«La parte ideologicamente più preparata mi sembra che sia quella di Casaleggio, Grillo è un megafono che ripropone delle elaborazioni che non necessariamente gli appartengono». Affermazioni che suscitano perplessità.

Il Movimento Cinque Stelle iniziò la sua corsa con le elezioni amministrative, erodendo voti sia a destra che a sinistra. I grillini ebbero propri sindaci, assessori, consiglieri nei Comuni ed anche rappresentanti nei consigli regionali.

Nel 2013, alle elezioni politiche, il nuovo partito fece il botto: in numeri assoluti di schede votate, quello di Grillo era il secondo partito italiano! Emorragie di voti di elettori scontenti, di italiani privi di bussola, di quelli che ormai dicevano «tanto peggio, tanto meglio», si trasfusero dai partiti politici conosciuti ai Cinque Stelle.

La coalizione di Centro-Sinistra superò quella di Centro-Destra per appena centoventiseimila voti. I magheggi del Porcellum di Roberto Calderoli elargirono un consistente premio di maggioranza al Centro-Sinistra. Dono della Provvidenza immeritato. I regali vanno a chi se li merita e non a questo imbelle Centro-Sinistra.

Al Senato il Porcellum produsse un risultato contraddittorio rispetto a quello della Camera: la distribuzione dei seggi non permetteva di avere alcuna maggioranza. Non c’era alcun vincitore. Una torta divisa in tre fette.

Bersani, lo Smacchiatore del Giaguaro, ebbe il coraggio di dichiarare:

«Siamo arrivati primi ma non abbiamo vinto».

Non ennesima metafora, ma brutto eufemismo di una deludente realtà.

Cos’hanno fatto di male gli elettori del Centro-Sinistra per meritarsi queste teste di…politici?

Nel giro di poche settimane fu proprio lo Smacchiatore del Giaguaro ad essere candeggiato sia da Berlusconi che da Grillo. Bersani non riuscì nemmeno a fare eleggere Romano Prodi come Presidente della Repubblica.

Dopo aver perso tutto quel che si poteva perdere ovvero, in slang bersaniano, dopo non aver vinto tutto ciò che si era potuto non vincere, il segretario del PD finalmente si dimise. In conformità con l’ inflessibile Fattore K, essendo Bersani un ex-comunista.

Ed Enrico Letta, ex-democristiano, fu il nuovo Presidente del Consiglio.

(Fine)

Il fattore K e il Curato da Bologna (Parte settima)

La Lega Nord si assunse la benemerita responsabilità di togliere la fiducia al Berlusconi I. Gliene fummo tutti grati. Al Senatùr sembrò  improvvisamente che il suo datore di lavoro non avesse più un gran aplomb morale. In vita mia, ho battuto le mani a Bossi una volta sola. Questa.

«Mai più con Bossi!», giurava e spergiurava uno.

«Mai più con Berlusconi!», spergiurava e giurava l’altro.

Seguirono cinque anni di litigi fitti tra i due e poi, nel 2001 – la politica è un dedalo di contraddizioni e mangiamenti di parola – l’ex Cavaliere ri-assunse il Senatùr nel suo progetto di partito-impresa. Di nuovo insieme, come i ladri di Pisa.

Dopo il Berlusconi I, seguì il governo tecnico di Lamberto Dini, già Ministro delle Finanze nel governo precedente, governo di centro-destra. E il mio partito di allora, il PdS, cioè il Partito della Sinistra già aggregatosi nell’Ulivo, sostenne questo bellimbusto. Con la faccenda del senso di responsabilità gli elettori di centro-sinistra hanno inghiottito anche questo brutto rospo. Vedendo la parabola di Dini in Parlamento, direi che si sia dimostrato un politico perlomeno double face.

Anche Dini rassegnò le dimissioni.

E si tennero le famose e storiche elezioni del 1996.

La Sinistra ha sempre sottovalutato la forza personale, politica, economica dell’ex Cavaliere e, soprattutto, la presa che aveva su buona parte del Paese. Sapeva convincere le persone semplici, ma…se le persone semplici votanti sono tante, facilmente si ottiene la maggioranza in Parlamento.

Per le elezioni del ’96, la Sinistra vinse la propria snobberia nei confronti del «più grande piazzista del mondo», come scrisse Indro Montanelli, organizzandosi per tempo poiché non doveva accadere che Berlusconi vincesse per una seconda volta.

Un altro ex bolscevico per la corsa al soglio di Capo del Governo? No, il Belpaese era impreparato e questo avrebbe generato un nuovo buco nell’acqua: gli italiani non erano stati mollati dal Fattore K, nonostante la rassicurante presenza del nuovo segretario del PdS, Massimo d’Alema, abile timoniere con la bussola orientata verso la socialdemocrazia europea.

Si pensò di affidare il «gran cimento» a un democristiano mai iscritto alla DC, Romano Prodi, bolognese solo per adozione perché nato a Scandiano, paese natale di  Matteo Maria Boiardo.

Tutti i post-comunisti avranno emesso ciangottii disorientati:

«Ma come? Votare un democristiano? Siamo di sinistra oppure…»

Qualcuno dei frastornati elettori di sinistra trovò rassegnata consolazione pensando che Gesù Cristo fosse il primo comunista della storia.

Se Berlusconi era un demone proteiforme, il Professor Prodi pareva un curato di campagna in grado di pronunciare efficaci esorcismi per scacciarne la presenza maligna.

Dopo l’affaire di Mani Pulite, parevano opportune nuove formazioni politiche che non richiamassero esplicitamente alcun vecchio partito, almeno di primo acchito.

Il Curato proveniente da Bologna creò un nuovo soggetto politico, L’Ulivo, un accordo, una coalizione di governo dal bel nome, semplice, luminoso, sereno, evocativo di lontane suggestioni mediterranee, la Magna Grecia, gli albori della democrazia. Un buon inizio. Con esso si voleva esprimere un messaggio preciso: «noi siamo brava gente, noi siamo diversi, noi abbiamo antiche radici, noi portiamo la pace vogliamo unire il paese».

L’Ulivo si trovava a sfidare il Polo per le Libertà, formazione di centro-destra orbitante intorno all’Illusionista. Denominazione assai lontana dalla tersa semplicità dell’Ulivo.

Libertà. Che bella parola! La libertà è la condizione di essere libero. L’opposto della costrizione e della coercizione.

«La Libertà» rappresenta anche un’idea, una categoria dell’Essere e dell’Etica. Se declinata al plurale, «le Libertà», la parola perde, allora, d’astrattezza e descrive la vita reale. Il plurale ci suggerisce che vi sono tante libertà, libertà di parola, libertà di pensiero, libertà di religione e così via.

E Benedetto Croce chiosò scrivendo che «La libertà al singolare esiste soltanto nelle libertà al plurale».

Libertà, bella parola se viene proferita dalla bocca giusta.

Che intendeva richiamare il Centro-Destra con questa denominazione? Le libertà costituzionali? Macché, nulla di tutto questo…magari.

Il Polo per le Libertà evocava, come in una seduta spiritica, fantasmi, la privazione della libertà che derivava dal Comunismo e dai comunisti, sfruttandone le paure che tutto questo ancora generava. La nuova formazione politica non poteva certamente ergersi a baluardo contro tutte le dittature e di tutti regimi autoritari, il fascismo, perché sotto l’ombrello del Polo per le Libertà stavano, appunto, anche i preziosi discendenti dei fascisti.

Ancora il Fattore K. Per dividere.

Secondo i sondaggi pareva che la Sinistra non ce la potesse fare.

Don Romano da Bologna si rimboccò la tonaca. Non fece comizi. Durante il 1995, viaggiò per la penisola in lungo e in largo su di un pullman esibendo la rassicurante faccia paciosa.

«Comunista io? Ma guardatemi bene», sembrava voler dire.

Ascoltò, parlò con le persone e ne strinse le mani perché alla gente piace avere un contatto diretto con i notabili.

La propaganda elettorale dalle piazze si spostò in televisione. Durante queste elezioni iniziò la stagione, non ancora trascorsa, della politica nei talk-show. Ci fu perfino lo spazio per due «faccia a faccia», come suggeriva il nuovo sistema elettorale pseudo-maggioritario, tanto per sentirci un poco americani. E il buon Romano, dal punto dell’efficacia televisiva, funzionava egregiamente quanto l’ex Cavaliere.

Come andarono le elezioni? Rispondo storpiando il famoso motto di Machiavelli, cioè la fine giustifica i mezzi: vinse il Centro-Sinistra, per meglio dire, Berlusconi non ebbe il Governo. La maggioranza alla Camera dei Deputati era, però, assai risicata, solo sette voti in più, con l’appoggio esterno di Rifondazione Comunista derivante dai lungimiranti patti pre-elettorali tra Prodi e la coppia Bertinotti-Cossutta.

La vittoria del Centro-Sinistra fu una conseguenza del Mattarellum e, soprattutto, dell’incomprensibile miopia tattica di Bossi, che decise di far correre la Lega da sola.

La bomba di Berlusconi fu deviata da una casuale folata di vento e non disinnescata dalla forza politica della parte sfidante.

I voti reali raccontavano, infatti, un’altro Paese.

La coalizione dell’Ulivo alla Camera dei Deputati ebbe quasi cinquecentomila votanti in meno rispetto al Polo per le Libertà nella quota maggioritaria. Non solo: sommando i voti del Polo per le Libertà e della Lega Nord, il Centro-Destra aveva la maggioranza nel Paese.

Il Fattore K era ancora presente nell’inconscio collettivo degli italiani.

L’ex Cavaliere, da eccellente venditore, conosceva i propri polli e aveva un buon fiuto.

Fatti tutti i conti elettorali, dichiarata la vittoria elettorale del Centro-Sinistra, la sera del 23 aprile 1996 ci fu la festa per L’Ulivo in Piazza Maggiore. Piazza gremita di gente, gente che intravvedeva un nuovo futuro con persone oneste, concordia ed equità sociale.

Arrivò il Curato e impartì la sua benedizione. La Piazza andò in visibilio e tanti piansero di gioia. Pure io e la Bruna.

Avevamo vinto e questo bastava.

Nessuno in quel momento, però, pensò che eravamo nati comunisti e che alla fine dei giorni saremmo diventati tutti democristiani.

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