Il fattore K e mia madre (Parte quinta)

Nel 1998, mesi prima delle dimissioni del primo governo di Romano Prodi, il PdS perse ogni richiamo al comunismo trasformandosi nei DS. La Cosa 2, nuovo partito social-democratico accoglieva l’ex PdS, un gruppo di ex socialisti dal cuore ancora palpitante a sinistra, dai cristiano-sociali e da qualche ex repubblicano. Poiché simboli ed emblemi rappresentano, sintetizzano idee e significati, si dileguarono la falce e il martello ai piedi della quercia, lasciando il posto ad una rosa solitaria,

Le rose sono tanto belle ma recano spine.

I guai del centro-sinistra si ingrossarono con il successore del Professore, cioè quell’altra grande testa della politica italiana che è Massimo d’Alema, segretario dei neo DS ed efficace Presidente della Commissione Bilaterale dopo il Patto della Crostata. Con lui il Fattore K si sfogò appieno essendo stato a capo di due governi, l’uno dopo l’altro, per appena diciotto mesi e sei giorni in tutto. Le definitive dimissioni trovarono causa nell’insuccesso dei DS alle elezioni regionali del 2000. Dimissioni politicamente non dovute, certamente gradite a molti sostenitori del centro-sinistra, tra i quali mi ritrovavo anch’io.

Ma perché il Fattore K si accanì in tal maniera contro il simpatico Baffetto? E’ forse mai stato comunista?

I guai del centro-sinistra non finirono qua: nel 2001 seguirono le elezioni politiche e furono stravinte da Berlusconi. Non poteva che finire così, poiché l’ex Cavaliere si trovò a competere contro Francesco Rutelli, una delle tante incarnazioni del Nulla. Fu come se il Milan si fosse trovato a giocare contro il Casalecchio di Reno.

La Bruna, sempre tranchant nei suoi giudizi politici, proposito della corsa verso l’abisso del centro-sinistra, aveva idee ben precise. Avvenne che, nel settembre del 2003, io e mammà ci recassimo alla Festa Nazionale dell’Unità. Avevamo bisogno di vedere nostri consimili, cioè altre persone che non avessero votato per Berlusconi solamente a parole. Parlando in giro, nessuno gli aveva dato il voto, eppure il Venditore, l’Illusionista, arrivò primo.

Quella sera, la cosa più interessante fu un’ottima cassata siciliana – me ne mangiai due fette – fino a quando la Bruna non ravvivò il clima.

Lo stand delle conferenze ospitava Fausto Bertinotti con il suo astuccio da collo e il baffuto Fabio Mussi. Sedemmo nella non gremita platea ed ascoltammo le vacue parole dei due. L’incontro terminò e diverse persone si avvicinarono al palco per stringere la mano ai due politici.

La Bruna, a quel punto, mi chiese:

«Posso andare a parlare con Bertinotti?»

«Boh, fai quello che vuoi», feci io decidendo di lasciare Bertinotti al proprio destino.

Mammà si mise in fila ordinatamente e, arrivato il suo momento, si trovò a faccia a faccia con lui, la causa di ogni male italiano.

L’aria serafica del comunista da salotto svanì in un batter d’occhio allorché la Bruna, con il dito puntato e tono accigliato, gli disse:

«Se abbiamo quella me..a al governo è tutta colpa sua! Si deve solo vergognare per quello che ha fatto. Dovete rimanere uniti se vogliamo vincere le elezioni!»

Il radical-chic sbiancò e si defilò tacendo.

La Bruna quindi rivolse verso il divertito Mussi:

«Ma insomma, mettetevi d’accordo…mi raccomando. E lei lo controlli!», indicando lo sbiancato Bertinotti.

E Mussi, sorridendo:

«Ci proverò, signora»

Tutto questo avvenne cinque anni dopo l’autolesionistico sgambetto al Professore. Costituì per la Bruna l’opportunità di manifestare il proprio pensiero in faccia a colui che riteneva esserne il responsabile del soffocante disastro politico e sociale che in quegli anni incominciammo a subire.

La Bruna si sentì vendicata.

La vendetta è un piatto che si serve freddo.

(Continua)

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