La vendetta della Meneghini. Quasi una parabola

Si sa che le tifoserie liriche sottostanno alle medesime regole di quelle ideologiche: entrambe concepiscono dispute, talvolta artificiose, contro un nemico designato.

Le blandizie verso ciò che piace sono banali. Sequenze di peana elogiativi, ovvero pensieri privi di interesse, ovvero dolciastri luoghi comuni.

La presenza di un nemico, invece, costituisce un’azione vivificatrice per l’ingegno. L’intelligenza, se c’è, dà il meglio di sé quando cerca parole acuminate.

I nemici, quindi, sono più utili degli amici perché danno un senso alla vita. Fanno stare bene.

Quindi, se non si ha un nemico è meglio crearselo.

Il nemico può essere di due generi.

Il primo è quello del nemico consapevole di essere “il nemico”. Uno attacca, l’altro si difende e viceversa. L’inimicizia tra i due contendenti è chiara e riconosciuta da entrambi. Pensiamo ad una guerra per il petrolio, ad una guerra di liberazione o per avere il dominio del mondo. Si pensi, pure, a quanto avviene in un duello per vendicare un torto subito o, situazioni più rassicuranti, alla maggior parte dei giochi che si basano sulla presenza di un nemico – da guardia e ladri fino alla canasta dove le due parti si sfidano segnando i punti sul blocchetto di carta indicando “noi” e “loro”.

Nel mondo delle tifoserie, da quelle ideologiche fino alle calcistiche – quelle che si formano da una passione – si annida un secondo tipo di nemico.

In questo caso, il nemico è inconsapevole e senza colpe, una guerra unilaterale senza combattimenti. Il nemico non sa di essere nemico perché magari è già morto. Si verifica, poi, una sorta di guerra all’inverso: chi viene individuato come nemico è, in realtà, colui che subisce le ostilità.

Ovunque ci sono nemici del secondo tipo: cattolici contro protestanti, settentrionali contro “marocchini” o “terroni”, guelfi contro ghibellini, bolognesi contro ferraresi, modenesi contro bolognesi, juventini contro interisti, bigotti di chiesa contro comunisti mangiapreti, Berlusconi contro comunisti, Renzi contro D’Alema e viceversa.

Anche nell’opera lirica ci sono i nemici del secondo tipo: wagneriani contro verdiani, callasiani contro tebaldiani, genceriani contro callasiani. E perfino genceriani contro tutti!

Proprio come in ogni tifoseria, i fans del grande soprano Leyla Gencer progettano artatamente aspre battaglie contro un nemico designato: Maria Callas.

Lo scopo di questa di disputa? Costoro sostengono che la Callas sia stata un’usurpatrice del trono spettante alla Gencer.

Quindi la fama della Callas? Pubblicità, battage giornalistico.

Il perfetto genceriano sminuirà, minimizzerà, l’arte della Greca e magnificherà quella della Turca.

Un episodio croccante su come può agire il genceriano perfetto, puro e duro, lo fornì un tal Aurelio quando, alla fine del 1977,  mi invitò a casa sua con Tullio per fare il confronto tra le registrazioni dal vivo, a quel tempo rare e preziose, dell’Anna Bolena scaligera con la Callas e Simionato con quella che la Gencer registrò nello stesso anno per la Rai, sempre con la Simionato, entrambe dirette da Gianandrea Gavazzeni.

Da fan sfegatato di Leyla Gencer – a quel tempo in chiaro declino vocale – pure Aurelio aveva il bisogno compulsivo di affermarne la superiorità rispetto a Maria Callas, che chiamava «La Meneghini».

Aurelio compariva di quando in quando nel negozio sotterraneo della signora Salizzoni. Era un flemmatico bancario sulla quarantina, tanto azzimato quanto affettato. Possedeva una sola espressione facciale indossata alla mattina insieme al doppiopetto. Muoveva solo i muscoli delle labbra a culo di gallina, lentamente. Aveva vocali strette ed esse sibilanti, un po’ per essere fine e un po’ per camuffare la cadenza meridionale.

Aurelio viveva in una bella casa nei pressi dei Giardini Margherita con la moglie segaligna che ricordava Olivia, quella di Braccio di Ferro. Arrivammo e quella ben presto si assentò per andare a trovare la madre al piano di sotto, felice che altri si cuccassero per qualche ora quella borsa del marito.

Da un armadio, una specie di arredo da sagrestia con l’interno illuminato, rivestito di un lucido damasco color porpora, quasi un tabernacolo contenente grandi calici e piatti dorati, Aurelio prelevò il nastro a bobina dell’Anna Balena con la Callas.

Ascoltammo qualche pezzo cantato dalla Greca maledetta.

«Sentite qua come oscilla La Meneghini!»

«Perché la chiami sempre Meneghini?» ridacchiò Tullio «così sembra una milanese».

«È stata un’opportunista che ha sfruttato il marito per fare carriera. Un’arrivista senza scrupoli. La sua stella è sorta grazie a Meneghini, con Onassis è tramontata, i suoi soldi le hanno strozzato la voce…», rispose Aurelio e continuò:

«Gli acuti sono striduli, stridii di un’aquila»

«E come oscilla! Avranno dovuto puntellare la sala del Piermarini», fece Aurelio tappandosi le orecchie con le mani.

Fermò il registratore e, avviandosi verso l’armadio, disse risolutamente:

«Scusate, non so voi, ma io non ne posso più degli strilli di questa strega»

E concluse:

«Che vociaccia»

Io tacqui perché avevo immediatamente capito che, di fronte a quel fanatico, dire qualcosa a favore della Callas mi avrebbe creato una situazione difficilmente risolvibile. Nemmeno avrei potuto contare su Tullio perché anche lui digeriva poco la Greca e vistosamente assentiva ad ogni minchiata anticallasiana che usciva dalla bocca del nostro ospite.

Ed Aurelio, con un sorrisino compiacente, mancava una strizzatina d’occhio, fece:

«Rifacciamoci ora la bocca, anzi, le orecchie con Leyla…roba per palati sopraffini». Manco ci avesse offerto una bevuta di Veuve Clicquot del 1893.

Con solennità di un officiante, fece per prendere la bobina ma la mano si bloccò. In meno di un batter d’occhio salì in piedi su una poltrona e cominciò a emettere degli urli strazianti e disperati, sembrava impazzito: aveva visto un ragno. Spaventatissimo, tremante, sudato, bianco come un cencio lavato.

La Callas era morta da poco e io pensai che l’apparizione del ragno non fosse stata una coincidenza. Mi immaginai un’affusolata mano greca con le unghie laccate, fragrante di Malabrah, deporre il ragno nell’armadio in quel preciso momento. E comunque, senza interventi soprannaturali, quella situazione al nostro genceriano cadeva come un abito cucito su misura.

«Ben ti sta» pensai «magari una vespa t’avesse anche punto la lingua»

Forse per solidarietà tra anticallasiani, o perché affiorò il suo animo di buon samaritano democristiano, Tullio trovò un giornale e sbloccò la penosa situazione spiaccicando l’odioso animale sul vivace damasco.

L’aracnofobico Aurelio, fino a quel momento fuori controllo, scese dalla poltrona dopo avere avuto da Tullio la rassicurazione che l’insetto era diventato poltiglia. Immediatamente dopo il nostro amico genceriano, non più in preda al terrore, rientrò nella sua inamidatura, e continuò con la triturazione della nemica Callas a favore della celestiale Gencer.

Come se nulla fosse successo.

Ammettendo taumaturgiche capacità vocali della Gencer, quella sera si ebbe la prova che esse non avevano efficacia alcuna nella cura dell’aracnofobia dei suoi fans.

Il fattore R(enzi), ovvero il Diavolo fa le pentole ma non i coperchi

I giocatori d’azzardo amano il rischio. Vogliono vincere ma sanno che possono perdere tutto.

Ve ne sono altri, invece, che giocano non mettendo mai mano alla scarsella. Dicono di giocare per stare in compagnia. Questi giocatori non sono, in generale, un granché e vincono quando incontrano un avversario più scarso o distratto. Se giocano in coppia, si nascondono dietro alla bravura dell’altro.

La Sinistra di Occhetto, d’Alema, Veltroni e Bersani rappresenta questo secondo tipo di giocatore: non ha mai rischiato e, con le proprie forze, non ha mai vinto alcuna partita se non appoggiandosi a qualche partner più forte. A Romano Prodi, un cattolico.

Queste grandi teste di politici hanno dilapidato un grande patrimonio di ideali e di voti.

Bettino Craxi fu il primo politico della Sinistra italiana a commettere il peccato di superbia di scalare Palazzo Chigi.

Craxi era di Sinistra? La risposta è negativa se pensiamo alla Sinistra italiana a prevalenza comunista, sempre vicina ai sindacati, la Sinistra tenuta a bada dal Fattore K.

Con i criteri d oltralpe o d’oltreoceano, invece, Craxi sarebbe stato senz’altro considerato un uomo della Sinistra. Io non sono mai stato craxiano, ma devo riconoscere che il segretario fu uomo di una sinistra non comunista con singolari capacità politiche e personali.

Poi le vicende di Craxi e amici andarono come andarono. Segnarono tristemente un’epoca.

Ma questo è un altro discorso.

Luci e grandi ombre.

E’ un peccato di superbia, un’ambizione luciferina, partecipare alle elezioni con l’effettivo intento di vincerle? Concorrere per vincere, questo deve dire e fare un grande partito politico. Non è sufficiente partecipare alle elezioni con il dalemiano atteggiamento dell’eterno perdente. La spocchia del perdente.

Dopo Craxi, il primo uomo politico appartenente alla Sinistra che si è posto il problema di vincere le elezioni è stato Matteo Renzi.

In un paese normale il partito sfidante deve carpire gli elettori scontenti al governo uscente.

La situazione italiana era anomala: accadde che il centro-destra, durante l’era di Berlusconi, sottraesse voti alla Sinistra, ma non capitava viceversa.

La Sinistra, poi, si impegnò in una sorta di cannibalizzazione interna: la Sinistra più a sinistra pensò che fosse conveniente scippare i voti al PD. Questioni di pseudo-ortodossia, nostalgie per un socialismo reale mai vissuto? Magari!

La Sinistra, invece, si trovò tra i piedi un poeta-predicatore con la zeppola, politicamente inquieto, ex-FGCI, ex-PCI, ex-Rifondazionista.

Le improvvisazioni poetiche di Niki Vendola erano letterine a Babbo Natale, semplici e banali, che apparivano chissache per la ridondanza verbale. L’arte di dire «sì» con duecento parole.

Ecco un esempio della profondità di Vendola:

«Vi dico due parole importanti: “Sinistra” che significa la casa dei diritti, che significa accendere le luci sugli angoli del dolore sociale, che significa parlare degli invisibili, di tanta gente smarrita e perduta! E l’altra parola: “Libertà”! Dobbiamo liberare la libertà. Dobbiamo liberarla: ne han fatto un mercimonio, l’hanno sequestrata in un supermarket, l’hanno messa in una prigione: è la libertà dei potenti di fare ciò che credono e ciò che vogliono, di umiliare la giustizia, di umiliare un popolo! Non è questa la libertà! La libertà è un’altra!»

Nel 2013, chiesi ad una mia collega, un tempo elettrice PCI-PdS-DS-PD, per chi avrebbe votato alle politiche:

«Io voto per Niki Vendola», rispose lei con orgoglio

«Scusa. Perché?», feci io perplesso

«Parla così bene», con tono sognante, rapita dal Majakovskij della Murgia

«Ma capisci quello che dice?»

«No, ma che c’entra»

Essere di Sinistra diventò un lavoro debilitante, un atto di dolore:

«mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi» ed anche Niki Vendola. Amen.

Arrivò il 2012 e vidi l’uomo nuovo del PD all’opera, in carne e ossa, Matteo Renzi, durante il confronto con Bersani, Puppato, Vendola e Tabacci, trasmesso da Sky. L’occasione era quella delle Primarie per individuare lo sfidante di Berlusconi e Grillo alle politiche.

Non solo Renzi fu convincente e con idee chiare ma bucò il teleschermo. Una bomba. Che sforzo, si dirà, visto l’istrionismo degli altri!

Per contrastare Berlusconi e Grillo il Centro-Sinistra finalmente aveva l’uomo giusto, un giocatore abile. E apparteneva al mio partito!

Renzi intendeva vincere a qualunque costo per il bene di tutti. Per sconfiggere Berlusconi e Grillo bisogna giocare come loro: o tutti rispettano le regole oppure bisogna attrezzarsi e regolarsi di conseguenza. C’erano in lizza dei giocatori che avrebbero barato anche giocando a Klondike con il cellulare! Pur se Renzi avesse recitato, mentito o barato, non mi interessava nulla.

Passai una notte con un conflitto interiore:

«Renzi è di Sinistra –  Si quasi sempre – Forse sì  – E’abbastanza di Sinistra – Non è Comunista  – Certo che non è comunista – Non deve essere comunista se vuole andare al governo – Sennò chi lo vota – E chi se ne frega se non è comunista  – Nemmeno d’Alema è comunista –  Se d’ Alema è comunista lo sa solamente lui e pure ci crede – I comunisti non esistono più – Nemmeno la Sinistra esiste più – E da tanto tempo  non esiste più – La compagnia della vecchia sinistra non ha nulla da dire ai giovani – Sa solamente deludere i vecchi – Che diventano sempre di men o- Che votano seguendo le consuetudini  – Rottamare sì rottamare – Renzi parla di giovani di anziani di lavoro di scuola di giustizia di equità fiscale – Questa però è roba da sinistra – Non andrà d’accordo con i sindacati – Con la Camusso – Pazienza – Chi se ne frega I sindacati fanno la voce grossa quando non importa – Anche loro ballano i minuetti con i governi e non sono affidabili – Per vincere Berlusconi e Grillo occorre avere la faccia da culo e Renzi ce l’ha  – Un po’ spaccone – Ha voglia di mettersi in mostra ma questo farà bene a tutti – I discorsi di Renzi saranno anche frasi fatte  ma si capiscomo – Con i suoi slogan pensa di rivolgersi ancora ai boy scout – Dalle strisce dei fumetti alla politica – Meglio dei poemi di Vendola – I poemi di Vendola non li capisce nemmeno lui – Certe volte sono prediche – Bersani parla con proverbi di due righe – E poi è un ingastrito con il mondo insieme al Baffetto – E poi fa i duetti con la Ricciarelli – Ma va là – Berlusconi è il re dell’anacoluto – Dovrebbe fare la trasmissione dei pacchi – Grillo starnazza come un’oca e bisogna bipparlo ogni due minuti-  Ed è un fascista – Renzi sa come portare via i voti a Berlusconi – Non fanno mica schifo questi voti se vanno finire dalla parte giusta – Cioè al PD  – Basta dire che Renzi è un populista – Tutti gli altri lo sono – Piuttosto che vinca le elezioni contro Berlusconi e contro Grillo».

E alla fine dei pensieri conclusi:

«Ma sì alla fine Renzi è il meno peggio

Quindi per ora è il migliore

Voterò Renzi».

Ho considerato il voto a Renzi, fin da subito, un buon voto utile. Sapevo che, se Renzi fosse stato il prescelto per la partita di Palazzo Chigi, e se avesse vinto le elezioni politiche, certamente avrei subito delle delusioni. Chi va al governo si scontra con i problemi reali e, quindi, gli ideali – se ve ne sono stati – e le promesse – quelle ci sono sempre – vanno a farsi friggere.

Passata la buriana, finita l’emergenza democratica, cambiate persone e situazioni, avrei valutato i risultati con distacco, senza costrizioni. Finché dura fa verdura, prendere tempo. Quest’è la nuova etica dopo Berlusconi.

Il risultato delle primarie fu deludente per Renzi. Io pensavo, invece, che avrebbe stravinto.

Gli elettori del PD scelsero l’usato sicuro di Bersani. E il risultato delle politiche, come ben sappiamo, fu che il Centro-Sinistra e il Centro-Destra dovettero dividersi le pietanze sbocconcellate dal Movimento Cinque Stelle.

Il mandato esplorativo per costituire il nuovo governo fu affidato al delfino del PD e durò una settimana. Bersani, riuscì a farsi strapazzare ed umiliare da epifanie del Nulla come i due capigruppo del Movimento Cinque stelle, il perspicace Vito Crimi e la simpaticissima Roberta Lombardi. Questo psicodramma si tenne innanzi ad una squallida webcam sfocata, imposta dai grillini per testimoniare la loro trasparenza e il nuovo modo di fare la politica.

Poco dopo, lo Smacchiatore del Giaguaro dichiarò che il mandato esplorativo ebbe esiti «non risolutivi». Seguirono, infine, le dimissioni da segretario.

Dopo Bersani, Renzi riuscì a farsi intronizzare a Segretario del PD. Il sogno inesprimibile di ogni segretario è quello di avere un partito senza correnti e unito. Renzi non voleva vivere di sogni e neutralizzò, rottamò, i Vecchi Apparati, discendenti del Centralismo Democratico da PCI e della DC. Il Nuovo era rappresentato dai giovani fedeli al Segretario, il Vecchio erano d’Alema, Bindi, Bersani & C.

I Rottamandi ovviamente si coalizzarono contro il Rottamatore.

L’obiettivo di Renzi era quello di avere un Partitone forte, autosufficiente, in grado di governare senza l’ausilio e il ricatto dei cosiddetti partitini. Ci stupisce questo ragionamento? E’ un’eresia illegittima? Lo abbiamo detto e lo diciamo tutti che questo è un problema da risolvere.

Ma Renzi non si limitò a questo, guardava oltre.

Il governo Letta ricordava una bietta sotto un tavolo traballante. Pur essendo un ex-democristiano, ho sempre avuto una buona considerazione per Enrico Letta. Simpatico, un aplomb all’inglese. Come presidente di quel Governo era oggettivamente troppo molle, eccessivamente signore per quella cavea parlamentare e, soprattutto, il suo esecutivo era troppo procrastinatore.

Renzi dapprima confermò la fiducia a Letta:

«Enrico, stai sereno»

Dopo qualche settimana, Renzi fece una mossa spregiudicata che lasciò a bocca aperta tutti, inducendo Letta a dimettersi.

E così Renzi diventò Primo Ministro.

Si attribuisce impropriamente a Machiavelli la formula «il fine giustifica i mezzi». Un errore madornale: è di Matteo Renzi.

Trascurando ogni giudizio morale su questa vicenda senza scrupoli, ritengo che l’attivismo di Renzi sia più consono al ruolo di Capo del Governo che non a quello di Segretario di un partito.

Per qualità caratteriali, Renzi non è una persona che possa unificare le correnti ideologiche che percorrono la Sinistra italiana. Chi rottama non unifica, crea livori.

Non dimettersi da Segretario, diventato Capo del Governo, è stato un errore madornale. Aveva troppo potere tra le sue mani.

In qualità di primo ministro diverse cose mi sono piaciute, altre no. Alcune cose sono appartenute alla Sinistra, altre no. Volendo giudicare il Governo di Renzi, si devono, però, rammentare le varie circostanze che l’hanno preceduto e preparato, in particolare, che esso è nato come soluzione ai problemi creati dall’insuccesso elettorale di Pierluigi Bersani e che, per questo, il governo è stato sostenuto da una strana maggioranza. Si può avere un governo di Centro-Sinistra se nel mosaico c’è il partito di Angelino Alfano che reca il nome Nuovo Centrodestra? Suvvia!

Si sarebbe dovuto ricorrere alla volontà degli elettori, ma questa eventualità non è stata ritenuta praticabile perché si è temuta, e si teme, l’esplosione del Movimento Cinque Stelle e della Lega Nord di Matteo Salvini.

Trasformare il referendum costituzionale in consultazione per trovare consenso nel paese ed esibire il risultato al fine di zittire la potente minoranza all’interno del Partito Democratico, ha costituito il secondo errore madornale di Matteo Renzi. Dalle mie parti si direbbe che questo è «tirare nel pero per prendere nel melo», arte che accomuna i giocatori di biliardo e i grandi strateghi.

Alla fine, il machiavellico Renzi si è stranamente dimostrato solo un ingenuo e cattivo giocatore di flipper. Non riuscendo a ficcare la pallina nel foro, mostrò una strana propensione per la roulette russa: trasformò il referendum costituzionale in un referendum personale smarrendo il significato profondo dell’importante consultazione. Ed estenuando gli elettori.

Ai Rottamati, al Centro-Destra, al Movimento Cinque Stelle, ai Sindacati, a molte Associazioni, tutto questo non parve vero, e pure loro tirarono nel pero per colpire il melo: salvando l’integrità della Costituzione, avrebbero mandato a casa Renzi.

Durante le settimane pre-elettorali parve chiaro che Renzi era più pericoloso dei vecchi comunisti, che condizionava la Democrazia e la Libertà.

Renzi, personaggio pericoloso quanto il Cavalier Benito Mussolini. Il referendum come Ultimo Gran Consiglio. La resa dei conti.

Si delineò il nuovo spauracchio, il Fattore R. Il Fattore Renzi anziché il Fattore Kommunizm.

Molto meglio trattare con Berlusconi…quello almeno è un vecchio che si accontenta di qualche donna a pagamento, della prescrizione di qualche processo, di qualche leggina birbona e riga. Mica fa il padre della patria!

Nonostante il Fattore R, il risultato a favore del Presidente del Consiglio si attestò al quaranta per cento. Ma questa percentuale corrispondeva esattamente ai voti che il PD conquistò in occasione delle elezioni europee con l’apporto dei rottamati! E fu considerato, all’unanimità, un successone. Dovettero ammetterlo, con il mal di denti, pure d’Alema e Bersani.

Il quaranta per cento dei voti, secondo il segretario tutti voti a favore della sua politica e della persona, corrispondeva a un bel partito! Quello era il suo partito.

Renzi mantenne la parola e rassegnò le dimissioni dal Governo ma non mollò il PD: pensava di andare alle elezioni e fare incetta di voti dopo un veloce congresso del Partito.

Ma la minoranza nicchiò. Si sarebbe rischiato di vincere.

Iniziarono giorni di psicodrammi, questioni senza senso per la maggior parte delle persone: se Renzi avesse detto bianco gli altri avrebbero detto nero, se Renzi avesse detto nero allora sarebbe stato bianco.

Il Partito Democratico finalmente era allo sbando.

Un’agonia.

Nelle ultime settimane abbiamo assistito alla creazione di un nuovo movimento. Il Partito Democratico si è scisso.

Divide et impera.

Dal caos nasce il nuovo ordine.

Magari senza Renzi.

Così sperano i burattinai del Fattore R.

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