Il fattore K e il suo braccio secolare (Parte quarta)

Facciamo il punto della situazione al momento dell’esiziale discesa nell’agone politico del nostro Paladino, Berlusconi, per difenderci dall’invasione dei «rossi».

Era il 1994.

I guai del PCUS iniziarono con la glasnost e la perestrojka. Il 25 dicembre 1991 si compì il destino di Gorbačëv: prima segretario generale del partito, rassegnò le dimissioni dalla carica riciclata di capo di stato dell’URSS. Il PCUS era cessato d’esistere dall’agosto del 1991. Il partito-stato venne dichiarato fuori legge.

Il dissolvimento della Grande Madre Russia fu la vittoria del Capitalismo sul Socialismo. A tutta prima, lo sfaldamento di uno stato totalitario dà gran gioia. Presi dall’euforia, tutti credemmo che fossero arrivati i tempi del definitivo Trionfo del Bene sul Male. L’inizio dell’Era dell’Acquario. Fratellanza, solidarietà e democrazia. Ora, mi chiedo, se le cose siano andate proprio così, come speravamo. Senza quei duri burocrati comunisti mangia-bambini, dopo la sparizione dell’URSS, qualcuno pensa che la situazione internazionale sia, in generale, migliorata?

Il mondo all’epoca dell’URSS non era il Mondo ma era lo «Scacchiere Internazionale», un grande Risiko su cui stavano disposti i missili bianchi e i missili rossi, il Patto Atlantico contro il Patto di Varsavia, c’erano regole, equilibri e bilanciamenti. Si chiamava Guerra Fredda? Essa pareva una brutta cosa? Certamente non era bella, però quelle bombe, almeno, non scoppiavano mai, anzi arrecavano stabilità internazionale. Mi viene in mente una domanda capziosa: il nuovo equilibrio mondiale è migliorato senza l’URSS? E ancora: il grande, magnifico, ideale della Democrazia non è, forse, «un piacer serbato ai saggi» che non s’addice a tutti i popoli?

La controrivoluzione della Rivoluzione d’Ottobre fu l’apoteosi di una serie di avvenimenti storici. Dalla Polonia all’Unione Sovietica, i fari del comunismo europeo si spensero, uno ad uno, nel giro di due anni.

E in Italia, cosa accadde al PCI?

L’autorevole Enrico Berlinguer scomparve 1984. Otto anni prima, sotto la sua segreteria, in epoca di compromesso storico, il PCI aveva fatto un’ irripetibile incetta di voto. Qualche giorno dopo la sua morte, alle elezioni europee, i comunisti sorpassarono i democristiani. Seguì la segreteria cordialmente incolore di Alessandro Natta e poi quella di Achille Occhetto con il colpo di genio, che mi lasciò senza parole, del suo governo ombra.

Il Requiem per il vecchio partito fu officiato nel 1991, con un processo che iniziò dopo lo smantellamento del Muro di Berlino e la conseguente riunificazione delle due Germanie. Dal PCI nacque il PdS, il Partito della Sinistra, e la scissionista DP, Democrazia Proletaria, che poi diventò Rifondazione Comunista, allargandosi con altre formazioni politiche di risulta.

Il vecchio simbolo con falce e martello fu ridimensionato e andò a finire sotto un albero verde, una stilizzata quercia che ricordava o un rene o un polmone.

Caduto il primo governo di Berlusconi, le forze di centro-sinistra si organizzarono in un nuovo soggetto politico, L’Ulivo, una coalizione di centro-sinistra, un accordo politico con il professor Romano Prodi come candidato di bandiera. Prodi contro Berlusconi.

Vinse Prodi. Il suo governo tirò avanti per due anni, sostenuto dal PdS, dal PPI (ex democristiani), dai Verdi e dall’appoggio esterno, denominato desistenza, della Rifondazione Comunista. Povero Prodi! Comprese a proprie spese, per la prima volta, il significato del motto «Dagli amici mi guardi Dio, che dai nemici mi guardo io», e lo comprendemmo pure noi tutti, poveri italiani: i guai di un governo di centro-sinistra (forse sinistra-centro) arrivarono dalla sinistra a sinistra della sinistra. Venne meno la sfinente desistenza bertinottiana per un voto e Prodi ritornò a casa. Fu questo un capolavoro di lungimiranza politica da attribuirsi al solo Fausto Bertinotti, grande testa della politica italiana? Oppure si doveva attribuire al Fattore K l’occulta responsabilità dello scioglimento di un governo che aveva fatto sognare molti italiani? Eppure il PCI non esisteva più e Prodi era un democristiano. Che il Fattore K abbia, forse, sorprendentemente operato attraverso il braccio secolare di Bertinotti e della sua creatura politica, la Rifondazione Comunista?

E se, invece, il braccio di Bertinotti non sia stato guidato da nobili principi ma da inaspettati, poco nobili, burattinai?

Mah. Queste sono le classiche domande di un dietrologo irrecuperabile.

(Continua)

Il fattore K questo sconosciuto (Parte prima)

Dare tempo al tempo: un grande proverbio. Significa che occorre sapere attendere, poco o tanto. Attendere perché le cose si sistemino, perché prendano la strada giusta. Oppure affinché si possa capire appieno il senso di quello che abbiamo innanzi, magari per trovare conferme di certe congetture.

Dopo svariati anni – nelle ultime settimane – ho capito che il Partito Democratico non è mai stato un vero partito ma poco più di un accordo elettorale per vincere Berlusconi. O meglio, questa idea mi era balenata più volte senza diventare un pensiero certo. Tramontato, come tutti speriamo, l’astro dell’ex Cavaliere, il PD sta sfaldandosi dapprima lentamente poi, nelle ultime settimane, con una netta impennata.
E’ in agguato il ritorno di una vecchia geografia politica, ben conosciuta durante la cosiddetta Prima Repubblica, con una sinistra divisa in almeno tre, quattro partiti di peso differente e caratterizzate da un caleidoscopio di sfumature ideologiche. Su questa carta geografica, il PCI, il Partito Comunista Italiano, occupava lo spazio maggiore, nell’ambito della sinistra, poi seguiva il PSI, il Partito Socialista Italiano, il PSDI, il Partito Social Democratico Italiano. Si aggiungeva, nell’arco parlamentare, un’area massimalista, si diceva di estrema sinistra, rappresentata, a seconda delle legislature, dal Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP), dal Partito di Unità Proletaria (PdUP), da Democrazia Proletaria (DP), fino alla Rifondazione Comunista (RC).

Io iniziai a interessarmi alla politica durante il terzo anno di Liceo, anno scolastico 1972-1973. Mi iscrissi alla FGCI, la Federazione dei Giovani Comunisti Italiani, ma non ero un integralista forse perché avevo un fondo snob che mi salvava. Il Centralismo Democratico non mi andava giù, e capitava che mi trovassi d’accordo con Lotta Continua.

Alla fine degli anni ’70, il giornalista Alberto Ronchey attribuì al Fattore K lo stantio della politica italiana, l’incapacità di rinnovarsi.

K sta per Kommunizm.

Il problema italiano era, quindi, costituito dal PCI.

Con il Fattore K, Ronchey spiegava la mancanza di reali avvicendamenti politici con la conseguenza che si potevano avere solamente governi a prevalenza democristiana. L’Italia, in quegli anni, aveva una strana anomalia rispetto agli altri paesi: circolavano troppi comunisti. I comunisti costituivano, infatti, il secondo partito, più dei socialisti e dei socialdemocratici messi insieme. Il PCI, troppo vicino all’Unione Sovietica ancora in pieno vigore, non avrebbe mai potuto partecipare ad alcun governo del Paese. Il Fattore K, maledizione o nemesi?

Il Fattore K incominciò a diventare una questione seria allorché la Democrazia Cristiana perse la sua forza elettorale e il Partito Comunista guadagnò terreno. Che fare? Si progettarono nuove geometrie, le convergenze parallele, e nuove convivenze, il compromesso storico. Ed anche la «non sfiducia».

Gli apparatchiki della Botteghe Oscure probabilmente pensarono che tutti i vecchi compagni da Festa dell’Unità esultassero in coro, uniti e compatti come in un congresso del PCUS, per la frantumazione degli ideali di una vita. E, probabilmente, pensarono che le vecchie sezioni del PCI si trovassero, davanti ai loro zerbini, lunghe code di giovani, i figli del ’77, per richiedere la tessera.

(Continua)

You cannot copy content of this page