Epifania

Quand’ero bambino non ricevevo mai i regali per il giorno di Natale, bensì solo nel giorno della Befana. Cioè per il giorno dell’Epifania.
Il 6 gennaio commemora la visita dei tre re Magi a Gesù in Betlemme. Si vuole che Baldassarre, Gaspare e Melchiorre, seguendo da Oriente una stella cometa, abbiano portato al piccolo figlio di Dio doni destinati ad un sovrano: oro, incenso e mirra. Quindi poiché Gesù era bambino, l’Epifania è diventato il giorno in cui tutti i bambini ricevono i doni, giocattoli e dolciumi se sono stati buoni, carbone se cattivi. Ed io aggiungevo al Presepe le tre statuine dei Re messe in fila.
Questa ricorrenza, invero, avrebbe un significato più profondo, più spirituale, un significato ormai lontano nel tempo confermato dall’etimologia greca e latina di epifania, ἐπιϕάνεια ed epiphanīa: si ricordava la manifestazione della divinità del Figlio di Dio, cioè il battesimo nel Giordano, l’adorazione dei Magi e il primo miracolo.
Epifania quindi manifestazione, rivelazione, visibilità di qualità superiori, di un mondo superiore agli uomini.
Un anno di tanto tempo fa, dormivo ancora nel lettino con le sponde, la mia Befana fu speciale, piena di stupore. Mi svegliai con accanto un bellissimo, grande, pupazzo di Paperino vestito della divisa da guardia della Regina d’Inghilterra. Io credetti veramente che era stata la Befana a portarmelo durante la notte. Un’emozione grandissima.
Ora il ricordo di quel risveglio è differente perché sono diventato grande ed ha subito un’evoluzione, cioè che fu una manifestazione di un qualcosa di invisibile. Il punto di incontro tra cielo e terra. Un’ Epifania, appunto.
Ringrazio la mamma e il babbo per questo.

Doppia vita

Nel 2007 si tennero a Bologna, alla Fiera, i campionati nazionali di danza Sportiva. Ogni sera, per tutta la durata della manifestazione, i partecipanti alle gare si esibivano in piazza XX settembre, a Porta Galliera. Veri e propri spettacoli regalati alla cittadinanza bolognese.
Alla mamma è sempre piaciuto il ballo ed era stata, peraltro, un’ottima ballerina dal carnet sempre nutrito. Non le parve quindi vero di poter vedere queste esibizioni vicino a casa. Usciva da sola alle venti per prendere un buon posto e poi io verso le ventidue mi recavo a prenderla.
L’ultimo giorno di gara cadeva di sabato, e per l’esibizione serale fu promesso un gran spettacolo, cosicché decisi di andarvi pure io. Si accodò anche il rigattiere Pietro che, fino a pochi mesi fa, vendeva le sue cose in un negozietto proprio sotto il portico della nostra casa. Oltre che acquistare da lui, era diventato anche nostro amico. Lo spettacolo mantenne le aspettative, fu assai più lungo dei giorni precedenti, organizzato con maggior sfarzo.
Al termine della serata, verso le ventitré e trenta, ci raggiunsero due miei carissimi amici.
E Pietro:
«Non andremo mica a casa ora…Andiamo a bere qualcosa?»
E gli altri, entusiasti, per prima la mamma, nottambula per natura:
«Certamente! Ma dove andiamo?»
«Andiamo al Buddha Bar delle mie amiche in Via Polese»
Preciso che questa strada dista una cinquantina di metri da casa mia.
Dopo una decina di minuti ci troviamo vicini alla meta.
In Via del Porto, però, improvvisamente Pietro allunga il passo per andare a confabulare con la sola persona che sostava in quel momento per strada, accanto alla Chiesa di San Carlo.
Devo fare una precisazione. Via del Porto durante la notte era a quel tempo divisa in settori. Nel primo settore, all’angolo con Via Montebello, stazionavano le prostitute; una di queste adorava il mio bulldog Platone. Il secondo settore, dalla chiesa in poi, invece, era occupato da travestiti e transessuali.
Quella sera il primo settore era deserto. La persona vicino all chiesa, verso cui si diresse Pietro con passo spedito, era un appariscente travestito con parrucca bionda, occhi bistrati all’inverosimile, abito da sera lucidissimo, tacchi alti e borsetta.
Una vecchia conoscenza, difficile non vederlo, per chi passava in Via del Porto ed anche per…mia mamma!
Già. La mamma aveva incontrato questo Roberto nel negozio di Pietro il rigattiere molto spesso ma solamente durante il giorno e, soprattutto, solo in abiti maschili. E in queste vesti, l’ultima cosa che sarebbe potuta venire in mente era che avesse questo tipo di seconda vita. Alto, spalle larghe, lineamenti duri, un poco calvo, voce rauca e gracchiante. Insomma nulla di muliebre.
La mamma aveva una grande simpatia, ricambiata, per Roberto. Avevano anche lo stesso medico di base!
Pietro quindi corse all’orecchio di Roberto per avvertirlo, e questi, vedendo mia mamma urlò:
«Eeeee…la Bruna! Ma che vergogna»
E la mamma, avendolo riconosciuto, si avvicinò a Roberto con passo sicuro e lo prese a braccetto:
«Beh…che cosa c’è? Ora Roberto tu vieni a bere con noi».
Finimmo così la serata in allegria.
Questo episodio rappresenta uno degli innumerevoli motivi per cui adoro mia mamma.

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