Bellissimo concerto diretto da Roberto Abbado

Ieri sera, 17 aprile, sono entrato con scarso entusiasmo all’Auditorio Manzoni per via del programma relativo al concerto della Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna capeggiata dal suo direttore Roberto Abbado con l’intervento del soprano Nicole Wracker e dell’attore Sandro Lombardi. È stato un concerto veramente bello a cui il pubblico ha tributato, io tra quelli, un grande, convinto, meritato successo con anche un applauso fuori ordinanza tra il primo e secondo tempo della sinfonia di Schumann ieri sera, per cui ne sono uscito assai contento.
La prima parte del programma comprendeva Meerestille und glückliche Fahrt di Felix Mendelssohn Bartholdy, la Sinfonia in Sol minore, WoO 29 «Zwichau» di Robert Schumann, mentre nella seconda parte, Egmont op. 84 di Ludwig van Beethoven. Lo Schumann sinfonista non mi convince, in particolare ascolto la seconda sinfonia con molte remore, anzi se posso la evito, per via d’aver preso Beethoven come senza ben riuscirvi, di Beethoven (d’altra parte Gustav Mahler nella sua revisione la corresse sensibilmente); la sinfonia Zwichau invece, lavoro giovanile incompiuto, mancano due movimenti, mi è piaciuta molto di primo acchito forse perché, non conoscendola, l’ho ascoltato senza sovrastrutture o pregiudizi di gusto trovandola molto originale. Non impazzisco nemmeno per alcune delle sinfonie di Mendelssohn, ma l’ouverture in questione è molto bella e di grande suggestione. E per quanto riguarda le musiche di scena per l’Egmont di Goethe dico solamente che è Beethoven, ergo musica bellissima.
L’esecuzione di tutto il concerto è stata a un livello molto alto, il suono dei Filarmonici sempre compatto e rotondo, eppure morbido, anche nei momenti di massima espansione, come si conviene alla musica tedesca. L’interpretazione di Roberto Abbado è stata appassionata, piena di slanci, con tempi che sono parsi non solo giusti ma anche «necessari». Insomma, bravissimo.
La voce ben impostata della giovane Nicole Wracker è stata molto gradevole. Bravo Sandro Lombardi, attore di grande valore, nonostante il suo particolare timbro vocale che, per il mio gusto, non si armonizzava con il contesto musicale.

Daniele Gatti dirige Wagner e Brahms

Ieri sera, 11 aprile, l’orchestra Mozart ha eseguito, sotto l’attenta conduzione di Daniele Gatti, un bel programma sinfonico che comprendeva l’Idillio di Sigfrido di Richard Wagner, le Variazioni su un tema di Haydn op. 56a e la Sinfonia n.4 op.98 in mi minore di Johannes Brahms.
Poiché i miei gusti, quanto alle musiche e quanto allo stile di interpretazione, sono mutati nel tempo, espliciterò le mie riflessioni rispetto sia ai miei gusti passati che a quelli attuali gusti.
I due criteri di giudizio convergono sul fatto che la concertazione dell’orchestra è stata ottima, precisa, senza sbavature. Daniele Gatti da questo punto di vista è sempre inappuntabile come lo fu durante i tanti anni trascorsi a capo dell’orchestra del Teatro Comunale; il termine del suo mandato, rispetto alla qualità esecutiva, sembrò significare Après moi, le déluge. Dopo Gatti, per l’orchestra, se non ci furono temporali seguì tanta pioggerellina, dapprima leggera, sparsa qua e là, ma da qualche anno rinforzata in vera pioggia.
Secondo i miei gusti passati, l’interpretazione di Daniele Gatti sarebbe stata ritenuta ottima per via del cesello, del fraseggio analitico, del saper dare senso al particolare, del fare cantare come una voce umana. Pertanto Wagner è stato sviscerato da Gatti allontanando ogni tentazione di magniloquente retorica, riportato a una dimensione affettuosa e cameristica anche perché il Siegfried dell’Idillio non è quello nibelungico del Ring, ma il suo unico figlio maschio e il brano fu una sorpresa per la moglie Cosima Liszt, eseguito nella loro villa il giorno di Natale in occasione del suo compleanno, anche se era nata il 24 dicembre. In casa Wagner ogni cosa non era normale… Il taglio analitico e cesellatore è stato mantenuto anche per le musiche di Brahms, seppur rispettando, specialmente nella sinfonia, i contrasti vari tematici e formali.

Viceversa il mio gusto attuale mi porta a tenere in particolare considerazione quelle interpretazioni che si esprimono per grandi arcate di una navata, proprio come se il brano fosse una cattedrale, arcate di fraseggio, suono, e grandi arcate di pensiero, visioni interpretative meno attente al dettaglio, all’hic et nunc, ma che semmai guardano sempre al dopo, e poi al dopo ancora, e così via. Mi piacciono quelle interpretazioni in cui riesco a individuare le lievi pulsazioni del cuore della musica, il tempo, quando riesco a percepirne il tactus. E questo non l’ho percepito ieri sera, pur comprendendo, apprezzando, la visione e la bella prova di Daniele Gatti.
Unico limite della serata è stata l’ingrata acustica dell’Arena del Sole, non consona ad un’orchestra sinfonica: non favoriva gli impasti ma separava le sezioni degli strumenti, con il prevalere degli strumenti a fiato sugli archi. Sarebbero stato necessario un rinforzo in quest’ultima compagine.
Il termine di ogni brano è stato costellato da sonori, prolungati, applausi.

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