Domenico Donzelli per un giorno a casa sua

Il bel Museo della Musica di Bologna è racchiuso nel cinquecentesco, magnifico, Palazzo Sanguinetti, ultima famiglia a cui esso appartenne, a metà di Strada Maggiore.

Palazzo Sanguinetti

La famiglia Sanguinetti, acquistò questo edificio nel 1870 dal famoso tenore Domenico Donzelli, conteso dai più celebri operisti della prima metà dell’800 quali Rossini, Bellini e Donizetti, e dagli impresari dei maggiori teatri europei fra cui Domenico Barbaja del Real Teatro di San Carlo a Napoli, ancora in quegli anni il miglior teatro europeo. Il tenore fece inserire nella ringhiera metallica del balconcino che si affaccia sulla strada le proprie iniziali, DD.

La ringhiera del balcone con le iniziali di Domenico Donzelli

Nulla di nuovo sotto questo cielo, ora e in ogni altra epoca, quanto a egocentrico divismo tenorile.
Donzelli era bergamasco ma finì la sua vita a Bologna; nella sua lussuosa casa fu ospitato Rossini, nonostante che questi possedesse una grande dimora nella stessa strada a poche centinaia di metri, per via dei dissapori con la moglie Isabella Colbran dalla quale il musicista divorziò. Le spoglie del tenore  giacciono in Certosa in una tomba a pozzetto nella suggestiva Galleria delle Tre Navate, ove si trovano, poco più lontano, anche le spoglie del contralto Geltrude Righetti Giorgi, creatrice del ruolo di Rosina nel rossiniano Barbiere di Siviglia.
Gli eredi del tenore, a corto di denaro, vendettero il palazzo e probabilmente dispersero, come spesso avviene, gli arredi; è quindi possibile che i cimeli donzelliani abbiano trasmigrato nelle abitazioni di collezionisti  bolognesi d’antichità senza avere contezza del precedente proprietario.

Il trompe-l’œil del cortile di Palazzo Sanguinetti

Venendo ad anni, recenti l’amica Angela Lorenzoni, storica e anche melomane, insieme al marito Carlo si sono imbattuti in un ritratto a olio di bella fattura ritraente un elegante soggetto maschile; Angela, guidata dal sesto senso, intuì che quell’azzimato signore poteva essere non un semplice facoltoso, ma un notabile e, dopo meticolose ricerche, riuscì a stabilire che quello era il ritratto di Domenico Donzelli probabilmente per il pennello dell’ottimo, nonché cognato, Pietro Luchini. Angela e Carlo passarono quindi all’acquisto del cimelio.
La fortuna ha assistito i miei amici poiché nel mercato dell’antiquariato di Via Santo Stefano si sono imbattuti in altri oggetti provenienti da Palazzo Sanguinetti: bozzetti a colori di costumi teatrali e stampe in bianco e nero tutti aventi come soggetto Domenico Donzelli.

Bozzetti per costumi di Domenico Donzelli

Ma il caso forse non lavora a vanvera. È venuto fuori che il tenore Rocco D’Aurelio, allievo del maestro Fulvio Massa, si è laureato presso l’Alma Mater con una tesi su Domenico Donzelli.
Messi in contatto, Rocco e Angela hanno progettato, con il contributo del maestro Fulvio Massa per la parte vocale e musicale, una conferenza-concerto nell’ambito della Festa Internazionale della Storia da tenersi proprio nella casa del grande tenore, in occasione del centocinquantesimo anniversario della morte, davanti al suo ritratto e ai bozzetti dei costumi di scena. Il titolo dell’avvenimento? Ovviamente Domenico torna a casa.Il ricordo di Domenico Donzelli, programmato per il 27 ottobre 2023, è stato molto piacevole. Angela Lorenzoni ha dapprima effettuato, con la competenza di storica, una bella e piacevole panoramica non solo sulla vita di Donzelli, ma anche sul pittore Luchini, su Palazzo Sanguinetti, su l’ospite Rossini, sulla vita musicale bolognese. Rocco D’Aurelio ha ricostruito, brillantemente e diffusamente, sulla base dei documenti, la vocalità e l’arte dell’antico divo mettendo in evidenza che egli incarnò il primo tenore moderno essendo stata, tra le voci liriche, la corda che ha avuto l’evoluzione più tarda per diventare come attualmente conosciamo e ci piace ascoltare. Tra i ruoli  creati da Donzelli ricordiamo quelli di opere liriche ripescate in epoca moderna dall’oblio come Torvaldo in Torvaldo e Dorliska, il Cavalier Belfiore ne Il viaggio a Reims entrambe di Gioachino Rossini; Don Alfonso in Caritea, regina di Spagna, Claudio in Elisa e Claudio, Carlo ne Il Bravo di Mercadante, tutti melodrammi di Saverio Mercadante; Almuzir in Zoraida di Granata, il ruolo eponimo in Ugo, Conte di Parigi composte da Gaetano Donizetti. Il ruolo creato da Domenico Donzelli per cui il suo nome è passato alla posterità senz’altro è quello di Pollione nella Norma di Vincenzo Bellini, gigantesco capolavoro mai scomparso dalle scene, stretto insieme a Giuditta Pasta nel clamoroso, poco lungimirante, fiasco decretato dal pubblico della Scala.
La conferenza è stata arricchita dai seguenti brani musicali del repertorio di Donzelli interpretati dal tenore Rocco D’Aurelio e dal soprano Ilenia Lucci, accompagnati al pianoforte da maestro Marco Cavazza:

Aria di Carlo, Tranquillo, beato, d’un’alma, d’un core
Cavatina Teodora, Tu che d’un guardo penetri

Da La casa nel bosco di Louis Niedermeyer:
Duetto, Idolo mio

Dall’Esule di Roma di Gaetano Donizetti:
Aria di Settimio: Io quel di rammento ancor.

Rocco D’Aurelio
Ilenia Lucci

Dopo averne magnificato le qualità, Rocco D’Aurelio ha avuto la responsabilità di sostenere il confronto con il cantante leggendario da lui ricreato durante la conferenza. Il giovane tenore non ha deluso cantando con bella voce scura, timbrata acuti squillanti e qualche zampata da vero interprete. Nel melodramma ottocentesco il tenore e il soprano hanno sulle spalle in buona parte la responsabilità della riuscita dello spettacolo; sono corde vocali indissolubilmente legate: se c’è il soprano prima o poi spunterà il tenore, o viceversa. Il soprano Ilenia Lucci con un affascinante timbro ambrato, da vero soprano lirico, ha quindi ben figurato con intensità nella Cavatina di Teodora e nel piacevole duetto del francese Niedermeyer. Ottimo l’accompagnamento pianistico di Marco Cavazza.

Ilenia Lucci e Rocco D’Aurelio
Marco Cavazza

E il pubblico ha manifestato un sincero gradimento per questa particolare conferenza-concerto.

Marco Cavazza, Fulvio Massa, Rocco D’Aurelio, Ilenia Lucci, Angela Lorenzoni

Sei rose gialle

Si conviene che i colori delle rose nascondano dei significati: le rose rosse esprimerebbero amore, passione, le rose di colore rosa degli affetti meno accesi come gratitudine, amicizia e ammirazione, quelle bianche l’amore puro, spirituale; il radioso colore giallo invece manifesterebbe la gelosia di una persona.
Orbene, oggi sono andato a salutare mio padre al cimitero e, tra i rami di orchidee fresche e i fiori artificiali che avevo lasciato all’ultima visita, ho trovato ben sei rose gialle da non molto avvizzite. Non è la prima volta che capita. Prima del ricovero in casa di riposo, la mamma, quando trovavamo questi fiori, si arrabbiava assai. Il motivo di questa rabbia era probabilmente collegato anche al significato espresso dalle rose gialle. E la mamma ipotizzò che fosse l’omaggio al babbo da parte di una donna innamorata e, probabilmente, gelosa di lei. Sembrava perfino avere dei sospetti, mai espressi, sull’identità di questa persona.
Al contrario della mamma, questi omaggi floreali a me hanno sempre fatto piacere perché qualcuno ancora, dopo cinquantaquattro anni, si ricorda di lui. Io poi non ho mai pensato ai significati nascosti dietro alle rose gialle donate al babbo. Mi colpisce, semmai, il fatto che il babbo, non riposando nella Certosa di Bologna, ed essendo la sua tomba molto in alto, la misteriosa visitatrice (ho anch’io la sensazione, come la mamma, che possa essere una donna) deve fare un certo sacrificio, disporre di un po’ di tempo e fare qualche acrobazia. Questi fiori, però, esprimono certamente un sentimento radicato.
Chi può essere, dunque, la donna misteriosa? Escludo che sia una parente da parte paterna: per quanto ne so io, solo una nipote del babbo, ora novantenne, è in vita. Ci telefoniamo periodicamente e da tempo non esce più di casa. E ancora meno penso che la gentile persona si debba ricercare nell’ambito del versante parentale materno.
Ed escludo una conoscente, ormai anziana, che ha parenti sotto lo stesso portico del cimitero. I fiori recati al babbo sono sempre stati differenti da quelli portati dalla signora ai propri cari, quando i primi erano freschi, gli altri erano secchi, quindi posti in tempi differenti.
Amici del babbo? Tutti ormai divenuti polvere oppure troppo anziani.
Per lo stesso motivo scarto l’ipotesi di una un donna innamorata e gelosa di mia mamma.
Le ipotesi ragionevoli si esauriscono qui.
Io invece mi lascio prendere da una bizzarra congettura.
Mio padre, essendo rimasto vedovo, sposò la mia mamma in seconde nozze nel 1955 e le confidò che, circa una decina di anni prima, avrebbe messo al mondo una bambina con un’amante. Il babbo fu gran tombeur de femmes nel corso di entrambi i matrimoni…
La madre della mia sorellastra sarebbe stata una bella contessa, di cui conservo una fotografia autografata, che avrebbe anche esploso un colpo d’arma da fuoco contro mio padre; il concreto ricordo di questo fatto fu una cicatrice sul ventre.
Mi piace allora pensare che la donna delle sei rose gialle sia proprio la mia sorellastra che esegue una disposizione della madre, la contessa innamorata.
E perché il colore giallo che esprime gelosia? Morta la prima moglie, mio padre avrebbe preferito una donna, mia madre, più giovane e più bella della pur avvenente contessa.
Pensieri troppo fantasiosi? Forse sì, però la vita reale è assai più imprevedibile di ogni fantastica supposizione.
Come fare, dunque, per sciogliere il mistero delle rose giallo?
Penso che lascerò sulla lapide del babbo un cartoncino invitando cortesemente la donna misteriosa a telefonarmi.
Spero che sia un’azione efficace.

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